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Cronaca Castrocielo

Ciociaria inquinata, quella 'vergogna ambientale' chiamata Biocom

L'ex azienda confiscata al clan Belforte di Marcianise, specializzata nel trattamento di rifiuti organici e situata a Castrocielo, da anni versa nel più completo abbandono. Il sospetto degli ambientalisti e le parole di Carmine Schiavone

Non solo la Valle del Sacco. La 'provincia dei veleni' può contare su tante realtà oramai abbandonate ma che potrebbero nascondere pericolosi segreti. Come a Castrocielo dove esiste un luogo in stato di abbandono da decenni. Con i cancelli chiusi e un muro inaccessibile. Nell'ex sito di compostaggio 'Biocom', specializzato nel trattamento dei rifiuti organici, tutto sembra essere fermo agli anni '90. Nessuno ha mai avuto il coraggio di chiedere lumi. Nessuno si è mai preso la briga di capire se, nell'area intestata a Giuseppe Buttone, ex boss ed ex killer del clan Belforte di Marcianise, oggi pentito, oltre agli scarti fisiologici provenienti dalle fosse biologiche del Cassinate e del Casertano, potesse esserci altro. Uno vero 'scempio ambientale', quei capannoni coperti di amianto e quelle vasche putride, che è stato al centro di grandi indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. L'indagine 'Giudizio finale' portata a termine dai carabinieri del Noe di Roma e Caserta e dalla Guardia di Finanza ha portato alla luce un traffico di rifiuti tra le province di Salerno, Roma e Frosinone. Cinque le persone che nel 2009 finisco in carcere e 43 gli indagati. Il reato per tutti è quello di 'smaltimento illecito di rifiuti'.  Stando alle investigazioni, nel Lazio il clan Belforte aveva aperto e gestiva la Biocom, proprio nel comune di Castrocielo.

La ricostruzione

«Siete ignoranti. Altro che droga, il guadagno vero, grande, senza controllo arriva dai rifiuti». A parlare è il boss Giuseppe Buttone. Il passaggio viene riportato dal giudice della Distrettuale Antimafia, Giovanni Conzo, nell'ordinanza di custodia cautelare. Buttone, ritenuto dai giudice «il colletto bianco del clan». E da affiliato col pallino degli affari boccia il traffico di droga ed esalta quello dei rifiuti. A raccontare il sistema di smaltimento è un pentito, Michele Frongillo: «Nel '96-97 l'idea dei gestori del clan Belforte era quella di inserirsi nella gestione dei rifiuti in quanto era un settore molto lucroso con forti guadagni e con pochi rischi, perché non si andava incontro a carcerazione preventiva, rischio che invece era molto frequente per il traffico di droga". Tutte le imprese del clan servivano per ripulire i soldi sporchi. I fanghi del depuratore sulle bolle di accompagno venivano definitivi 'rifiuti da demolizione' e finivano o su terreni agricoli o in altre ditte come la Biocom che invece, sulla carta, avrebbe dovuto trasformare rifiuti organici in fertilizzanti. 

La profezia del pentito

Lo stesso ex boss dei Casalesi, Carmine Schiavone, dopo essere divenuto un collaboratore di Giustizia nei tanti verbali di interrogatorio ha parlato di come ll clan era solito recuperare terreni nei quali smaltire illecitamente rifiuti. Lo stesso Schiavone parla di un'altra concentrazione degli interessi del gruppo di Casale nel Basso Lazio e nel Frusinate dove, con il sostegno di politici corrotti, sono stati illecitamente smaltiti rifiuti tossici. 

Il timore degli ambientalisti

Il sito, oggi completamente abbandonato e situato a due passi dall'area archeologica, è stato più volte oggetto di interesse degli ambientalisti. "Sarebbe cosa giusta capire se è stata mai fatta una richiesta di accesso all'area per capire lo stato dei luoghi. Se realmente siano stati solo trattati rifiuti organici oppure possa esserci dell'altro - spiega Salvatore Avella - e soprattutto se il Comune abbia intenzione, una volta compresa la situazione giuridica, di prendere provvedimenti per un'eventuale ripristino dei luoghi". 

Le parole dell'ex procuratore nazionale

Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia nel 2017 ha preso parte ad un convegno organizzato presso l'Università di Cassino. E qui, nella veste di Procuratore Nazionale, senza giri di parole ha parlato del sempre florido business della malavita: lo smaltimento dei rifiuti. "Un modus operandi che ‘ingrassa’ le organizzazioni criminali e che trova terreno fertile tra i corrotti. Nelle pubbliche amministrazioni e nel privato. Rifiuti e corruzione, un binomio perfetto e inossidabile". Roberti, relatore d’eccezione al convegno ‘dall’ecologia ambientale, all’ecologia umana’, ha definito lo smaltimento illecito dei rifiuti "una devastazione disastrosa e profitti senza limite. Le tante indagini ci hanno consentito di scoprire che il sistema della gestione rifiuti nazionale si basa sulla commistione tra attività legali e illegali che ha portato a una crisi di funzionalità del sistema stesso. In Italia si rispetta la legge fino a che si rispettano i profitti ipotizzati dalle attività messe in piedi”.

Il magistrato anti-camorra

Il procuratore aggiunto Giovanni Conzo, in una recente intervista, ha invece puntato l’indice sulla scellerata attività di smaltimento messa in atto negli anni ’80 e ’90. Quel proliferare di discariche abusive di cui parlano tanti pentiti di camorra e che non esulano il frusinate, il Cassinate e il sorano. Si riferisce Conzo ai rifiuti smaltiti lungo la tratta ciociara della Tav, ai fusti tossici seppelliti sotto piazzali in cemento di aziende di Ceprano ed Arpino, ai fusti pieni di solventi rinvenuti a Pontecorvo.

La Commissione anti-mafia

La prima denuncia presentata alla Commissione anti-mafia risale al 1998 quando il procuratore capo di Cassino, Giovanni Francesco Izzo, ricostruisce al presidente della commissione Massimo Scalia, il percorso dei rifiuti di provenienza illecita arrivati probabilmente smaltiti nel territorio di competenza della Procura di piazza Labriola. Un intervento secretato fino a qualche anno fa (leggi qui) e le cui parole suonano come una ‘cassandra’.

Gli interramenti tossici

“Sono in possesso degli atti relativi a tre procedimenti; tutti e tre attengono a rinvenimenti e scoperte di pochi mesi fa, ma relativi ad interramenti che, sulla scorta delle notizie di fonte informativa e più propriamente testimoniale, risalgono agli anni 1984-1985 e 1986 – spiega ancora il procuratore Izzo -. L’allarme che si è creato – che io condivido e che anzi amplifico – è dovuto proprio alla scoperta preoccupante di discariche di rifiuti nocivi e spesso tossici di natura industriale che, a detta di alcuni testimoni e secondo elementi anche di deduzione abbastanza fondati e logici, debbono farsi risalire anche a dieci anni fa. Questo occultamento inoltre è preoccupante sia per l’elevato volume sia per la profondità cui i rifiuti sono stati interrati, il che fa temere che qualche residuo non sia stato ancora individuato e portato alla luce negli scavi effettuati nella fase delle indagini preliminari nell’ambito dei procedimenti penali in atto". Il procuratore si riferisce all'ex cartiera di Isoletta d'Arce ma parla anche di Castelliri e Pontecorvo. “Nel leggere gli atti non mi sono posto il problema di un giudizio circa la maggiore gravità di un procedimento rispetto all’altro – prosegue ancora l’ex procuratore – ma è veramente difficile dire quale dei tre casi sia il più grave. Sono tutti e tre gravissimi, sia per la facilità con cui sono stati fatti questi interramenti (ne sia prova il fatto che solo dopo dieci anni si è riusciti, per circostanze spesso fortuite, ad averne sentore), sia per la nocività dei materiali stoccati o interrati“. 

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