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Cronaca

Operazioni inesistenti e finte cure ai profughi libici, nei guai anche il presidente di Federlazio (video)

La Procura di Frosinone e la Guardia di Finanza chiudono le indagini a carico di venti persone accusate di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Avviso di garanzia anche per l'imprenditore Alessandro Casinelli

Cure mediche, operazioni chirurgiche, analisi e esami radiologici pagati migliaia di euro ma in reatà mai effettuati. Una truffa internazionale da quasi tre milioni di euro quella scoperta dalla Guardia di Finanza di Frosinone e che vede come parte lesa l'ambasciata libica in Italia. Venti le persone iscritte nel registro degli indagati della Procura di Frosinone. In base agli elementi raccolti, il sostituto procuratore Adolfo Coletta, magistrato titolare della delicata inchiesta, ha chiesto il rinvio a giudizio anche per il presidente di Federlazio, Alessandro Casinelli, per l'amministratore delegato del gruppo sanitario Sant'Alessandro, Giorgio Rea, per il commercialista di Ceccano, Rino Tramontano, per un direttore di banca, per imprenditori, contabili, tutti residenti nella provincia di Frosinone ed anche per cittadini libici residenti a Roma ed all’estero, gravitanti negli ambienti dell’Ambasciata di Libia in Roma e dell’Ambasciata di Libia presso la Santa Sede.

La denuncia del console

A far scattare le indagini è stata la denuncia presentata dall'ambasciatore di Libia in Italia, rappresentato dall'avvocato Michele Andreano del Foro di Roma (nel video). L'alto funzionario, infatti, sarebbe venuto a conoscenza di una serie di operazioni bancarie sospette avvenute tra il 2015 ed il 2016. Migliaia di euro che l'ambasciata avrebbe versato su conti correnti bancari fittizi aperti in alcune banche di Frosinone. Bonifici elargiti a saldo di pseudo prestazioni ambulatoriali, interventi chirurgici ed accertamenti diagnostici a cui sarebbero stati sottoposti cittadini libici meno abbienti. Un servizio messo a disposizione dal consolato ma che, secondo le indagini, sarebbe divenuto una sorta di 'business' grazie anche alla preparazione dei contabili Fabio Faiola, Paolo Fusco e Tania Pennacchia che emettevano false fatture.

Il ruolo degli indagati

Le venti persone finite nel mirino della Giustizia, in base agli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza e dalla magistratura, attraverso la costituzione e redazione di documentazione (contratti con pazienti e convenzioni) sono riuscite ad ottenere dall’Ambasciata di Libia in Roma degli ingenti stanziamenti di denaro apparentemente destinati alla cura di cittadini libici bisognosi di assistenza medica. Ottenuti gli stanziamenti, gli stessi indagati avrebbero fatto confluire il denaro su conti correnti intestati a società intermediarie appositamente individuate o costituite e direttamente controllate, al fine di farne perdere le tracce ed entrarne in possesso. E’ stato accertato che le somme elargite, due milioni ed ottocento mila euro, sarebbero state utilizzare per l’acquisto di beni mobili, ed in altri casi sono state riutilizzate e reinvestite in altre attività economiche.

L'allarme terrorismo

L’attività investigativa ha permesso di ricostruire quasi interamente l’organigramma del sodalizio criminale operante prevalentemente nel territorio della provincia di Frosinone e nella Capitale. I finanzieri del colonnello Luigi Carbone sono riusciti ad individuare i vari componenti del gruppo che – a vario titolo e con ruoli diversi l’uno dall’altro – avrebbero messo in atto la maxi truffa. In un primo momento si era nutrito il sospetto che quelle somme fossero destinate a finanziare eventuali gruppi integralisti presenti in Italia. Le indagini hanno consentito di far emergere una più banale ma non per questo meno squallida verità.

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