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Sabato, 27 Aprile 2024
L'indagine / Cassino

Il Ministro della Giustizia come parte civile nei confronti dell'ex procuratore Paolo Auriemma

La Procura di Perugia ha chiesto il rinvio a giudizio del magistrato per due anni a capo della Procura di piazza Labriola

Pestaggi nel carcere di Viterbo, ammesse quattro parti civili contro il procuratore capo Paolo Auriemma (ex procuratore capo a Cassino) e la sostituto Eliana Dolce. Tra queste anche la presidenza del consiglio dei ministri e il ministero della Giustizia, che lamentano danni complessivi per un milione 400mila euro. A darne notizia è Viterbotoday.

Per i due magistrati è stato chiesto il rinvio a giudizio per rifiuto di atti d'ufficio per aver chiuso, secondo l'accusa, gli occhi a seguito delle denunce e segnalazioni sulle violenze che sarebbero avvenute nel penitenziario di Mammagialla. La procura di Perugia, tramite il pm Gennaro Iannarone, aveva chiesto l'archiviazione del caso. Richiesta respinta dalla gip Angela Avila che ha quindi deciso di procedere. Da qui l'udienza preliminare di oggi, a cui hanno presenziato gli stessi imputati togati, rinviata al 18 ottobre per le repliche delle parti e la decisione.

L'udienza preliminare

Al vaglio della gup le prove e le argomentazioni presentate da accusa, difesa e parti offese. Tra i documenti un esposto del 2018 del Garante delle persone private della libertà della regione Lazio, Stefano Anastasia, con le dichiarazioni di alcuni detenuti che avevano denunciato di aver subito percosse. Ma anche le comunicazioni di notizia di reato relative alla querela sporta dai familiari di Hassan Sharaf, 21enne egiziano morto dopo essersi impiccato nella cella di isolamento. Era fine luglio 2018. Neanche due mesi dopo, a inizio settembre, sarebbe tornato in libertà.

Il caso Hassan Sharaf

Sulla vicenda di Sharaf, oggetto pure di un esposto sempre del Garante Anastasia, la procura di Viterbo aveva aperto un'inchiesta per istigazione al suicidio che ha poi archiviato. Gli avvocati della famiglia del giovane egiziano, Michele Andreano e Giacomo Barelli, hanno ottenuto però la riapertura del caso e l'avocazione. La procura generale di Roma, infatti, ha tolto le indagini ai magistrati viterbesi e le ha portate avanti in autonomia: si sono concluse con il rinvio a giudizio, a vario titolo per omicidio colposo e omissioni di atti di ufficio, di sei persone, tra dirigenti del carcere, agenti della polizia penitenziaria e medici del reparto di medicina protetta dell'ospedale di Belcolle.

Le parti offese

Parallelamente la procura di Perugia ha aperto il fascicolo per rifiuto di atti d'ufficio su Auriemma e Dolce. In questo procedimento risultavano parti offese i familiari di Sharaf, ossia la madre e la sorella Aida e Saeed, il ministero della Giustizia e il Garante dei detenuti del Lazio. Sono stati citati per comparire con lo scopo di esercitare la facoltà di costituirsi parte civile per richiedere il risarcimento del danno.

Parti civili, c'è anche la presidenza del consiglio
Tutti hanno chiesto e ottenuto di costituirsi parti civili. La stessa richiesta è stata avanzata e ottenuta anche dalla presidenza del consiglio dei ministri, che lamenta un danno non patrimoniale da 300mila euro sia da Auriemma che da Dolce, con una provvisionale di 100mila euro sempre da entrambi gli imputati. "La presidenza - si legge nell'atto - è portatrice dell'interesse della collettività all'esercizio imparziale e indipendente della funzione giudiziaria, interesse leso dalle condotte contestate, dove confermate. C'è stata la violazione dell'esercizio imparziale della giustizia amministrata in nome del popolo italiano, con sviamento dell'attività demandata e con grave pregiudizio all'immagine dell'ente esponenziale che lo rappresenta. Consegue che non solo l'attività degli imputati è completamente diversa dai fini a cui invece doveva essere diretta nell'adempimento dei rispettivi doveri istituzionali, ma per le modalità con cui si è realizzata ha gettato grave discredito sull'amministrazione del potere giudiziario".

Lamenta sia danni patrimoniali che non, per un totale di 400mila euro con una provvisionale di 100mila euro da entrambi gli imputati, il ministero della giustizia. "I danni patrimoniali - viene spiegato nell'atto - consistono nell'aver sviato l'attività degli uffici, imponendo indebiti adempimenti con inutile dispendio di energie umane ed economiche. Nel compiere i contestati reati, i soggetti legati da vincolo d'impiego con l'amministrazione hanno anche distolto le corrette energie lavorative e quindi sono stati anche inadempienti nello svolgimento dell'attività retribuita, con la conseguenza che anche i loro emolumenti risultano pro-quota indebitamente percepiti".

Per quanto riguarda i danni non patrimoniali, invece, secondo il ministero della giustizia "c'è stata violazione dei doveri inerenti alle funzioni ricoperte di pubblico ministero con sviamento dell'attività demandata e con grave pregiudizio alla funzionalità e dell'immagine degli uffici in cui hanno operato. Non solo l'attività degli imputati è completamente diversa dai fini a cui doveva essere diretta, ma per le modalità con cui si è realizzata ha gettato grave discredito sul buon nome e sulla affidabilità di cui gode. Sono derivati danni allo svolgimento del delicato e primario compito affidato alla procura in ordine al corretto, trasparente e imparziale esercizio dell'attività a essa demandata nell'interesse della cittadinanza e, in specie, delle parti offese, andando così a minare la credibilità e affidabilità dell'attività espletata, con ciò che ne consegue non solo nella percezione della collettività ma anche e in particolare tra gli addetti ai lavori e in specie il "mondo" penitenziario, inciso dai contestati comportamenti".

La versione della difesa

L'avvocato Filippo Dinacci, legale di Auriemma e Dolce, ha parlato sin dal primo momento di "equivoco processuale". Secondo la versione della difesa, la procura di Viterbo avrebbe vagliato il dossier del Garante dei detenuti e scelto di non iscriverlo, o meglio di iscriverlo nel registro modello 45 (fatti non costituenti notizie di reato), per evitare duplicazioni di procedimenti sugli stessi fatti, visto che tutti quelli descritti nell'esposto sarebbero già stati avviati. Una scelta tecnica, insomma, dettata probabilmente anche dalle indicazioni emanate nelle direttive ministeriali e della Cassazione.

Le accuse

L'accusa mossa nei confronti di Auriemma riguarda il suo ruolo di pubblico ufficiale in qualità di procuratore di Viterbo. Gli è stato contestato il rifiuto di atti d'ufficio perché "a seguito del deposito, l'8 giugno 2018, da parte del Garante per i detenuti del Lazio, nel quale venivano riportate le dichiarazioni di diversi detenuti presso la casa di reclusione Mammagialla di Viterbo, indebitamente rifiutava l'iscrizione nel registro delle notizie di reato, disponendo l'iscrizione dell'esposto solo l'11 agosto 2018 nel registro modello 45 nonostante dallo stesso emergessero specifiche notizie di reato quantomeno ai sensi degli articoli 582 (lesioni personali) e/o 571 (abuso dei mezzi di correzione)".

Lo stesso reato, previsto dall'articolo 328 del codice penale, è stato contestato a Dolce, in qualità di sostituto procuratore. La pm, inoltre, il 20 settembre 2021 avrebbe "direttamente disposto il deposito in archivio del procedimento (senza presentare richiesta di archiviazione al gip) omettendo di compiere le necessarie indagini al fine di acquisire e verificare le dichiarazioni dei detenuti che avevano riferito al garante di aver subito percosse e violenze, mostrando allo stesso e ai suoi collaboratori le lesioni riportate sul corpo".

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