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Montecassino, nella preghiera di fine anno l'abate invita tutti alla carità e alla fratellanza

Le parole pronunciate da dom Oglieri nel corso del Te Deum hanno destato grande commozione. Il ringraziamento a chi ci sta aiutando ad affrontare la pandemia

La pandemia e le restrizioni disposte dal governo non hanno impedito al padre abate di Montecassino, dom Donato Ogliari, di svolgere il Te Deum, l'inno Cristiano di ringraziamento. Un evento molto sentito e che richiama l'attenzione dei fedeli e dei cittadini di Cassino. Quest'anno l'intero discorso dell'abate Ogliari è stato incentrato su quanto abbiamo visto e patito in questo 2020. 

Nuove opportunità?

"Tempo fa mi è capitato di ascoltare un annuncio pubblicitario che diceva pressappoco così: «Anno da dimenticare o nuove opportunità per ripartire?». La domanda era ovviamente retorica, e rivelava un indubbio ottimismo circa le nuove opportunità che potrebbero dischiudersi anche in un tempo di crisi come quello provocato dalla pandemia in atto. Al di là dell’intenzione che sottostava a quell’annuncio, non possiamo non condividerne la sostanza, anche dal punto di vista della nostra fede cristiana. Quest’ultima, infatti, ci invita ad attraversare le prove della vita con uno sguardo paziente e fiducioso, non prigioniero della sterile lamentela, ma sorretto dalla speranza nella presenza provvida e amorosa di Dio. L’apostolo Paolo ha parole incoraggianti che vanno proprio in questa direzione: «Noi – scrive – ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Lettera ai Romani 5,3-5)".

La fede come 'faro'

 "Alla luce della nostra fede, anche l’esperienza della pandemia dovrebbe, dunque, spingerci ad affrontare il futuro con fiducia e speranza, senza venir meno, però, a quel sano realismo che, di fronte alla crisi in atto, ci sprona a riscoprire stili di vita più genuini, ad essere più attenti alle cose che veramente contano, ad essere più disponibili a condividere quello che siamo e che abbiamo con chi cive accanto e che è meno fortunato di noi o più fragile, ad essere meno succubi delle sollecitazioni effimere di una cultura che, spesso, mira a sedurre col volto peggiore di sé: quello del vuoto e dell’egocentrismo. Il Te Deum – ossia l’inno di lode e di ringraziamento che tra poco eleveremo al Signore al termine di questo anno – dovrebbe, perciò, dar voce al nostro desiderio di non sprecare gli insegnamenti che ci provengono dagli eventi tristi che lo hanno caratterizzato, ma di rileggerli sul filo di quella speranza che non delude e che, incoraggiandoci a ritrovare la parte più autentica di noi stessi, ci dona la forza di essere «sale della terra» e «luce del mondo» (cf. Mt 5,13.14)"

La gratitudine

"La nostra comunità monastica desidera senz’altro riconoscere con gratitudine la presenza provvida e amorosa con cui il Signore ha sostenuto e accompagnato ciascuno di noi nel quotidiano cammino di sequela di Lui, cammino che, anche di fronte alle difficoltà, non è mai venuto meno.
Quel che, soprattutto, non è mai venuto meno, nonostante i limiti che accompagnano anche noi, è l’impegno a far sì che la nostra piccola comunità sia sempre più radicata in Cristo Gesù e cresca come “casa” e “scuola” di comunione, perché possa continuare a testimoniare la gioia e la pace del Vangelo alla nostra città di Cassino, a questo nostro territorio e a quanti ci guardano da ogni parte del mondo.
Mutuando una bella espressione di S. Teresa di Calcutta, mi piace pensare che il Signore continui ad usarci come una piccola matita nelle sue mani, per scrivere, insieme con noi, parole e gesti di fede, di speranza, di prossimità, di consolazione, di condivisione, di carità, che vadano a beneficio di tanti nostri fratelli e sorelle".

Tra desiderio e realtà

Tra i sentimenti che fanno parte del nostro vivere quotidiano vi è anche il “desiderio”. Anzi, potremmo senza dubbio affermare che noi viviamo di desideri, poiché ciò che ci mette in movimento e ci sospinge in avanti è proprio la capacità di desiderare. Sulla base della sua etimologia, è stato scritto che il desiderio «è il sentimento che gioca con le stelle (sidera)» (G.Bonaccorso). Il verbo latino “de-siderare” (da cui il sostantivo “de-siderium”) significa, infatti, “fissare attentamente le stelle” e, in senso figurato, volgere lo sguardo verso ciò che attrae.
Nell’antichità, però, desiderare – nel caso specifico degli àuguri – poteva significare anche l’atto di allontanare lo sguardo dal cielo per la mancanza delle costellazioni da cui trarre gli auspici. In tal caso, la dimensione del desiderio assumeva la forma della “mancanza”, del venir meno.
Il desiderio ha, dunque, in sé una doppia valenza: da una parte indica qualcosa che attrae, e dall’altra suggerisce la mancanza di quel che si desidera".

Ritrovare il senso

"Per tornare alla pandemia, tutti noi nutriamo il desiderio che questa emergenza – che ha scombussolato tante nostre consuetudini – cessi quanto prima, e sotteso a questo desiderio vi è il bisogno di riappropriarci di ciò che avvertiamo come mancante. Pensiamo, ad esempio, alla necessità di recuperare le espressioni di prossimità e di affetto con i nostri cari o i nostri amici, segno del nostro bisogno di amare e di essere amati; o pensiamo all’esigenza di riannodare le relazioni sociali parzialmente sospese o mutate, soprattutto quelle connesse con il campo educativo e scolastico; oppure pensiamo alla necessità, per molti, di riavere certezze sul piano occupazionale, di fronte ad un futuro ancora molto nebuloso. Tuttavia, quand’anche questi desideri dovessero realizzarsi – e ce lo auguriamo – non per questo l’impulso a desiderare si spegnerebbe definitivamente. Al contrario, continuerà a permanere, poiché il desiderio è un impulso mai sopito, un sentimento che dà voce a quell’anelito che è in noi e che ci sospinge – consciamente o no – a porci sempre alla ricerca di un benessere psico-fisico e spirituale che ci appaghi pienamente e in maniera totalizzante. Però, poiché non vi è nessuna realtà materiale in grado di garantire definitivamente tale appagamento – né il successo, né la fama, né il potere, né la ricchezza, né la frequentazione dei nostri cari o delle persone con cui ci rapportiamo quotidianamente – siamo sospinti a riconoscere che il desiderare tale pienezza è espressione di quella sete di infinito che alberga nel cuore di ciascuno di noi e che non può, appunto, trovare quaggiù un suo definitivo soddisfacimento".

“Evangelizzare” i nostri desideri

"Perché ciò avvenga occorre che purifichiamo ed educhiamo – “evangelizzandoli” alla luce della Parola del Signore – i desideri che pulsano nelle vene della nostra esistenza. Come? Mi permetto di suggerire una duplice pista: quella della preghiera e quella della carità. Per quanto riguarda la prima pista, sant’Agostino afferma che il desiderio è il cuore della preghiera. In un passo molto noto, egli scrive: «Il tuo desiderio è la tua preghiera; se il desiderio è continuo, anche la preghiera è continua. Altrimenti l’Apostolo [Paolo] non avrebbe detto: Pregate senza interruzione (1Ts 5,17). Forse che noi ci inginocchiamo senza interruzione, o senza interruzione prostriamo il corpo o leviamo le mani per adempiere all’ordine: Pregate senza interruzione? Se intendiamo il pregare in tal modo, di certo non lo possiamo fare senza interruzione. Ma c’è un’altra preghiera interiore che non conosce interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri (…) non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere la preghiera, non cessare mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce».  E ancora:
«Chi desidera, anche se tace con la lingua, canta con il cuore; chi invece non desidera, anche se ferisce con le su grida le orecchie degli uomini, è muto dinanzi a Dio». Se dunque desideriamo avvicinarci sempre di più al cuore di Dio per trovare in esso la roccia sicura su cui appoggiarci, alimentiamo la nostra preghiera di desiderio".

La carità

"Ma – e questa è la seconda pista – il desiderio di Dio arde e cresce nella misura in cui si coniuga anche con la carità, nella misura, cioè, in cui alimenta l’amore ed è, a sua volta, da esso alimentato. Più uno desidera Dio, che è Amore (cf. 1Gv 4,8), e più cresce nell’amore. Senza il desiderio di Dio, infatti, anche l’amore deperisce. Sempre sant’Agostino afferma: «La carità stessa geme, la carità prega; di fronte ad essa Colui che l’ha data non può chiudere le orecchie. Sta’ sicuro: la carità stessa prega; e ad essa sono intente le orecchie di Dio».
E ancora: «Il gelo della carità è il silenzio del cuore; l’ardore della carità è il grido del cuore. Se sempre permane la carità, tu sempre gridi; se sempre gridi, sempre desideri». La carità, dunque, assieme alla preghiera, è l’altra direttrice lungo la quale possiamo verificare la genuinità e la chiarità dei nostri desideri, perché non c’è desiderio di Dio che non porti anche a desiderare di aiutare chi ci sta accanto e di solidarizzar con chi è nel bisogno".


 

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