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Rifiuti organici, ‘no’ categorico dei ‘Medici di famiglia’ a un impianto a biogas nel Capoluogo

‘La Valle del Sacco in generale e Frosinone in particolare non possono sopportare un ulteriore peso’. Si parla del digestore anaerobico che dovrebbe sorgere in zona Asi. Ecco i potenziali rischi connessi alla salute e all'ambiente

I “Medici di famiglia per l’ambiente”, membri della nota associazione presieduta dalla dott.ssa Marzia Armida e coordinata dal dott. Giovambattista Martino, sono categoricamente contrari all’insediamento un biodigestore anaerobico a Frosinone. Si parla dell’impianto a biogas per il trattamento della frazione organica del rifiuto solido urbano (Forsu), nello specifico di 50.000 tonnellate di “umido”, per la cui realizzazione la società Maestrale ha richiesto l’autorizzazione.  

Nascerebbe nella zona industriale Asi, per l’esattezza in via Antonello da Messina. “Dopo Patrica con la Recall ed Anagni con la Saxa Gres - lamentano all'unisono la presidente Armida e il coordinatore Martino - anche il Capoluogo coinvolto nella decomposizione dei rifiuti organici”. E, secondo il duo dei “Medici di famiglia”, “la Valle del Sacco in generale e Frosinone in particolare non possono sopportare, per le già esistenti e riconosciute criticità ambientali e sanitarie, un ulteriore peso”. 

Un “peso” che, stando alla dettagliata relazione dei medici ambientalisti, provocherebbe emissioni dannose per la salute umana e l'ambiente nonché inevitabili molestie a livello olfattivo. In pratica, non solo una “puzza” insopportabile ma anche e soprattutto il rischio di malattie, in particolar modo per i soggetti fragili: donne in gravidanza, feti e bambini. "A fronte - fa presenta l’associazione - di 8/10 posti di lavoro”.  

Cos’è un biodigestore anaerobico?

Una struttura dove accedono i rifiuti organici, in pratica l'umido parzialmente differenziato, che dapprima viene separato dalla parte non idonea al trattamento, circa il 20% del totale, quindi ridotto in poltiglia e messo in decomposizione mescolato con batteri anaerobi in ambienti con assenza di ossigeno. Mantenuto poi a temperature variabili tra i 20 ed i 52 gradi, per 20-30 giorni durante i quali si ha produzione di biogas, composto principalmente da CO2 (anidride carbonica) e metano.  

Il residuo: il digestato 

A termine del processo resta un residuo semifluido, una poltiglia semiliquida, che va sotto il nome di digestato, rifiuto speciale che deve essere ulteriormente trasformato mediante una fase di fissaggio aerobico. La residua frazione liquida del digestato presenta anch'essa criticità notevoli, legate ad una elevata salinità e ad una elevata domanda chimica di ossigeno. Motivi per i quali deve essere inevitabilmente sottoposta a depurazione per essere resa idonea all'immissione nel sistema di scarico idrico.  

Le emissioni di bioaerosol 

Tutte le tecniche di trattamento biologico sono caratterizzate da emissioni di bioaerosol potenzialmente pericoloso per la salute umana a causa della possibile presenza di parassiti e microrganismi patogeni (salmonelle, listerie,escherichia coli, clostridi). Negli impianti di digestione anaerobica la produzione di bioaereosol e la sua immissione negli ambienti di lavoro e nell’ambiente esterno avviene nella fase di conferimento e pretrattamento della frazione umida e nella fase di compostaggio del digestato.  

A proposito dei digestati 

Spore patogene si ritrovano significativamente nel digestato tanto che per l'Istituto Superiore di Sanità: “Desta preoccupazione la capacità di alcune specie microbiche – in particolare il Clostridium botulinum - di sopravvivere in condizioni di anaerobiosi e alle temperature utilizzate nel processo di digestione” e la Regione Emilia Romagna dal 2011, ha vietato lo spandimento di digestati provenienti da impianti a biogas nelle terre destinate al foraggio per la produzione del parmigiano. Le emissioni gassose tipiche degli impianti di trattamento della frazione umida sono costituite da composti solforati (H2S), composti azotati (ammoniaca, NOx) e un ampio gruppo di composti volatili organici (COV).  

Idrogeno solforato e “puzza” 

L'H2S (idrogeno solforato), prodotto nel processo di fermentazione, si accumula nell'ambiente e nei tessuti animali, creando, anche a basse concentrazioni, danni a lungo termine all'apparato cardio-respiratorio, al sistema nervoso, alla vista ed al feto in gravidanza, con la potenzialità a basse dosi di stimolare il cancro del colon. L'H2S (“uova marcia”) insieme ai Composti Organici Volatili (COV) responsabili di odori molesti, determinano le decine e decine di segnalazioni delle genti che vivono a qualche chilometro di distanza dai biodigestori, esasperate dalla “puzza”, che assume importanza di emergenza sociale.  

Le altre emissioni gassose 

L'ammoniaca incide nella formazione di particolato secondario, modificando la composizione chimica delle polveri sottili, rendendole ancora più dannose. Il biossido di azoto (NO2) risulta uno dei principali determinanti di asma e disturbi respiratori, soprattutto nei bambini. Rispetto il tanto propagandato bilancio positivo per la l'anidride carbonica (CO2), tale non appare. Se è vero che la combustione del metano produce poca CO2, è altrettanto vero che la trasformazione del biogas in biometano necessita di un passaggio attraverso le membrane per la rimozione della CO2 con la successiva immissione in atmosfera della stessa. In conclusione, la CO2 emessa nel processo di trasformazione del biogas in biometano annulla il vantaggio delle ridotte emissioni della combustione del metano.  

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