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La vicenda / Cassino

Processo Mollicone, Franco Mottola: "La porta l'ho rotta io con un pugno e poi l'ho sostituita"

L'ex comandante della caserma di Arce, finito sotto processo per l'omicidio della studentessa diciottenne avvenuto nel 2001, ha ricostruito i fatti inerenti il danneggiamento. "A mia moglie non ho detto nulla"

"La porta dell'alloggio l'ho rotta io dopo un litigio con Marco. L'ho sostituita senza dire nulla a mia moglie". Franco Mottola, ex comandante della caserma di Arce ha iniziato così la sua 'spontanea dichiarazione' davanti alla Corte d'Assise del tribunale di Cassino. L'uomo ha spiegato il motivo per cui la porta, dell'alloggio, 'a trattativa privata', contro la quale secondo le indagini e le perizie medico legale sarebbe stata fatta sbattere la testa di Serena Mollicone, fosse danneggiata.

L'intera dichiarazione

"Vorrei anzitutto precisare che la mattina del 1° giugno 2001 tornai ad Arce, da Frosinone, dove avevo partecipato alla Festa dell’Arma, verso le 10 e 10 del mattino e ridiscesi prima delle ore 11 poiché Quatrale e Tuzi avrebbero dovuto completare il servizio esterno che avevo già impartito. In quella circostanza, né in altre, Serena non è mai entrata in Caserma: ASSOLUTAMENTE. MAI! Tuzi purtroppo ha fatto moltissima confusione e dopo sette anni, improvvisamente, dopo pressioni, battute e minacce che sono agli atti o per il solo timore di essere incriminato per l’omicidio, riferisce vagamente di una ragazza entrata presso lo stabile della Caserma senza però mai dire che ciò fosse accaduto il primo giugno e che ella fosse Serena Mollicone: le registrazioni delle sua sommarie informazioni, che sono incontrovertibili, lo dimostrano senza alcuna ombra di dubbio. D’altronde, se ciò fosse stato vero, lo avrebbe detto sin dalla sera quando vennero i familiari di Serena a denunciarne la scomparsa sin dalla mattina e ne avrebbe parlato in famiglia, circostanza smentita dalla stessa Maria Tuzi.

Ed è falso, come ipotizza chi mi accusa, che io possa aver minacciato, ricattato o promesso chissà cosa a Tuzi e Quatrale affinché negassero che Serena fosse entrata in Caserma: queste sono ipotesi tutte campate in aria, smentite dall’istruttoria dibattimentale e senza alcuna prova. Nessun ordine di servizio falso è stato poi redatto: in realtà chi mise gli orari fu proprio Tuzi e fu molto impreciso. Ma vi pare che se avessimo dovuto darci un falso alibi non lo avremmo organizzato in maniera minuziosa e senza imprecisioni, così da fornire una versione unica e convincente? Addirittura sono stato accusato dai maldicenti di essere responsabile della morte di Tuzi: questa circostanza è falsa!

Io, mia moglie, mio figlio e la mia famiglia non sappiamo nulla della morte di Serena. Nessuno di noi ha partecipato al confezionamento, all'imbavagliamento, al legamento, al trasporto del corpo di Serena a Fontecupa, e nessuno di noi ha partecipato all'occultamento del suo corpo. NON NE SAPPIAMO NULLA.
Io non ho depistato nulla, e non avrei potuto farlo, ho fatto il mio dovere, agendo su delega del Capitano Trombetti e dei PM. Facevamo riunioni operative ed ho segnato i tutti i dettagli dell’attività di indagine su un'agenda che compilavo assieme al Quatrale, e il capitano Trombetti ne era al corrente. Non ho fatto sparire nessun documento dalla casa di Guglielmo Mollicone.

Non è vero che sabato pomeriggio 2 giugno Carmine Belli venne in Caserma e che io non verbalizzai le sue dichiarazioni poiché quel pomeriggio ero in elicottero con il Capitano Trombetti per ispezionare dall'alto la zona da Arce a Sora. E ricordo che quando passammo sopra Fontecupa, proprio sulla radura dove fu poi rinvenuto il corpo, vidi una macchina dei Carabinieri. Non ho esperito alcun tentativo di fare escludere dalla lista dei sospetti mio figlio Marco e la sua vettura Y10 poiché la sua macchina era parcheggiata nel piazzale della Caserma e ben visibile agli occhi di tutti, anche degli inquirenti che la frequentavano in quei giorni.

Io il telefonino di Serena non l'ho mai visto sino a che non mi è stato portato in Caserma da Dell'Oro Mario, cognato di Gugliemo Mollicone. Io non ho cancellato le impronte dal telefonino come sostiene la Procura, tanto che sullo stesso sono state trovate proprio le impronte di Guglielmo.
Certamente non abbiamo inserito nell'agenda del telefonino di Serena il nr 666 accanto alla dicitura "diavolo": è un'illazione accusatoria senza testa e né coda, frutto dell'innamoramento del sospetto.
Non è vero che da parte mia ci siano state scarse attività di ricerche della scomparsa Serena, io ho fatto il mio dovere.

Non è vero che dopo la scoperta del corpo io abbia tentato di fare credere che la ragazza avesse tendenze suicidiarie, oppure che facesse parte di un giro di prostituzione. Queste sono illazioni accusatorie senza basi.
Non è vero che io abbia inserito o fatto inserire nel cassetto di Serena hashish, è un tentativo da parte di chi mi accusa di fare quadrare il cerchio. E' falso che io abbia tentato di fare cadere i sospetti su Gugliemo Mollicone, addirittura tramite il clamoroso prelevamento durante il funerale: mi fu ordinato dal Capitano Trombetti su ordine di uno dei tre Magistrati inquirenti come, del resto, ha riferito in quest’aula il Capitano.

Hanno, inoltre, insinuato falsamente che io abbia fatto sparire dall'obitorio di Roma i reperti e i vetrini di Serena ma la circostanza non corrisponde al vero in quanto, come abbiamo visto e sentito in dibattimento, la responsabilità di tali smarrimenti se l'è assunta il prof. Ernesto D'Aloja. La questione delle foto pedopornografiche rinvenute sul telefonino, 8 foto su 29.914, è una bolla di sapone. I miei consulenti hanno infatti prodotto una relazione attraverso la quale confermano che sono quelle fotografie costituite dai cosiddetti “file temporanei” che non ho scaricato intenzionalmente.

In relazione alla porta voglio anzitutto dire questo: “Se la porta fosse l'arma del delitto, vi pare che dal 2001 al 2002 non avremmo potuto aggiustarla oppure coprire il danneggiamento? CHE NON AVREMMO CONCORDATO UNA VERSIONE COMUNE DA IMPARARE A MEMORIA? La nostra ingenuità prova la nostra assoluta innocenza”. A tal proposito intendo precisare quanto segue: un giorno, mi sembra un sabato pomeriggio del marzo 2001, litigai con mio figlio Marco perché aveva preso la decisione di non frequentare più la scuola, la quale cosa mi fece arrabbiare enormemente. Eravamo da soli in casa e lui, poiché mi vide diventare rosso dalla rabbia, se ne andò intimorito per una mia reazione. Dopo pochi minuti la rabbia era aumentata, al ché sferrai un fortissimo pugno contro la porta del bagno posto nel corridoio, così provocando il danno. Non ricordo bene la dinamica del fatto, ricordo che colpii la porta con la parte inferiore del pugno, quella carnosa sotto il mignolo e che la mano era quella destra.

A rabbia sbollita, dopo circa venti minuti, per non litigare con mia moglie e per evitare discussioni, decisi di portare via la porta. La tolsi dai cardini, la portai giù nell'appartamento disabitato a trattativa privata, tolsi la porta del bagno situato all’interno della camera da letto e inserii quella rotta. Feci questa scelta anche perché la porta rotta, collocandola all’interno della camera da letto, non era visibile dal corridoio poiché era coperta dalla porta di ingresso della camera da letto stessa.

Qualche giorno, a mente serena, parlando con mia moglie della decisione di Marco di abbandonare la scuola, le raccontai l'accaduto. La circostanza tuttavia, che all’epoca non aveva alcun significato particolare, cadde così nel dimenticatoio. Signore presidente intendo pertanto ribadire la mia innocenza e quella della mia famiglia rispetto al barbaro omicidio della povera ragazza che in questa sede, ingiustamente, ci viene attribuito. Serena ha bisogno di giustizia ma anche noi, che siamo innocenti, reclamiamo forte la nostra estraneità ai fatti per cui è processo".

La giornata

Ha quindi rilasciato spontanee dichiarazioni davanti alla Corte d'Assise del tribunale di Cassino, Franco Mottola l'ex comandante della caserma dei Carabinieri di Arce finito sotto processo per la morte di Serena Mollicone. Dopo un 'balletto' di 'parlo, non parlo', 'testimonierò, non testimonierò' che ha portato anche a forti frizioni con il pool capeggiato dal criminologo Carmelo Lavorino, oggi l'ex sottufficiale potrà fornire la sua versione dei fatti anche se non risponderà alle domande dell'accusa. 

Le 'spontanee dichiarazioni' consentono, in fase processuale, all'imputato di riferire alla Corte ciò che "ritenga opportuno, purchè esse si riferisca all'oggetto dell'imputazione e non intralcino l'istruzione dibattimentale". Nelle passate settimane il pool dei legali di Franco, Marco ed Anna Maria Mottola, aveva chiesto ed ottenuto dal presidente della Corte e dai pubblici ministeri Siravo e Fusco, di potersi sottoporre ad interrogatorio iniziando con l'esame da parte dei loro legali.

Il primo che ha scelto di sottoporsi all'esame è stato Marco Mottola che per oltre sei ore ha risposto in maniera precisa, senza sbavature. Tutto sembrava essere andato per il verso giusto fino a quando il pubblico ministero Maria Carmen Fusco non ha chiesto all'oggi 39enne del perchè suo padre Franco, nel verbale di interrogatorio del 28 marzo 2008 ha riferito che a rompere la porta dell'alloggio a trattativa privata fosse stato lei'. 

In pochi istanti in aula è scoppiata la bagarre tra i legali che contestavano la domanda e i pm che incalzavano. Da qui la decisioine di interrompere l'esame dell'imputato e vietare anche al padre di poterlo fare. Unica a rispondere alla domande della Corte lo scorso venerdì è stata Anna Maria Mottola. 

+++ Articolo aggiornato alle 10 e 45 +++

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