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Cronaca

Sora, l'assassino di Samanta Fava non torna in carcere nonostante la condanna definitiva a ventiquattro anni

Tonino Cianfarani, il manovale che ha ucciso la donna e poi ha murato il corpo in cantina, malato da qualche tempo, per decisione del Giudice, deve essere curato a casa

Unico caso in Europa. Un assassino, riconosciuto tale in tre gradi di processo e condannato in via definitiva a 24 anni di reclusione per aver assassinato di botte e poi murato una donna, che si trova ancora a casa e non in una cella di un penitenziario. Tonino Cianfarani, brutale aguzzino di Samanta Fava, una bella e solare mamma di 37 anni scomparsa da Sora nell'aprile del 2012 e ritrovata murata in una cantina nel giugno del 2013, nonostante la pesante mannaia della Giustizia, continua ad avere la possibilità di dormire nel suo letto, mangiare con i suoi genitori e la libertà di fumare una sigaretta seduto davanti la porta di casa. Malato da qualche tempo, infatti, l'uomo viene sottoposto ad un ciclo di terapie presso l'ospedale di Sora e per questo motivo il giudice del tribunale di Sorveglianza ha stabilito che può usufruire della detenzione domiciliare. Una decisione che non è stata presa bene dai familiari di Samanta e dai suoi avvocati. La zona dove Cianfarani vive è situata a poche decine di metri dall'abitazione dell'unico figlio della donna uccisa, un ragazzino oggi quindicenne.

La disperazione dei familiari e degli avvocati

"Per poter andare a scuola o uscire con gli amici Nico è costretto a passare davanti la casa di quell'uomo - spiegano i legali Marco Bartolomucci e Tania Rea -. Credo che tutti possano capire quanto sia difficile dover vedere l'assassino della propria madre seduto davanti casa a fumare oppure in giardino a spaccare la legna. Non entriamo nel merito della decisione presa dal giudice del tribunale di Sorveglianza e non intendiamo polemizzare sulla sua malattia, chiediamo solo che questa persona venga curata in carcere. Se non in una cella almeno in una struttura adeguata ma lontano dagli occhi delle vittime di questa tragedia. Mamma, padre, fratelli e figlio condannati all'ergastolo del dolore".

La misteriosa sparizione di Sammy

Samanta Fava svanisce nel nulla dopo una serata trascorsa in compagnia di un suo amico, Tonino Cianfarani appunto. La ragazza, bella, solare e piena di vita, con un figlio che ama all'inverosimile, sembra essersi volatilizzata. A nulla valgono le ricerche che vengono portate avanti per oltre un anno dalla Polizia sollecitata dai parenti e dall'ex marito di Samanta, padre del bambino. A spingere l'uomo a chiedere aiuto alle forze dell'ordine è il fatto che Samanta, madre premurosa e puntuale, non avesse cercato il bimbo come invece accadeva ogni giorno e da quando cioè, dopo la fine del matrimonio, era rimasto a vivere con il padre. Una separazione senza traumi affrontata da entrambi con grande civiltà. Per questo Maurizio Gabriele, all'ennesima chiamata mancata dell'ex moglie e non riuscendo a contattarla in nessun modo, decide di sporgere denuncia al commissariato cittadino.

Le ricerche e la 'testardagine' di Polizia e Procura

Le indagini partono immediatamente e immediatamente la pista che i poliziotti seguono è quella che porta ad Antonio Cianfarani, "Tonino" per gli amici. Lui è un ex fidanzato di Samanta, ancor prima che la donna si sposasse, ma che dopo la fine del matrimonio era tornato ad essere presente nella vita della ragazza. I tabulati telefonici e i riscontri investigativi confermano che la sera della scomparsa Samanta era in compagnia di Tonino. Il giro di vite arriva quando il magistrato-segugio della Procura di Cassino, il dottor Alfredo Mattei, dopo una serie di riscontri oggettivi, decide di interrogare più volte chi l'ha vista per l'ultima volta in vita. L'uomo, all'epoca quarantaduenne, riferisce di averla lasciata sotto casa la sera del tre aprile e di non averla più sentita. Una versione che non convince gli investigatori Pierluigi Di Vittorio e Annamaria Centofante del commissariato sorano. Una versione che fa acqua da tutte le parti.

Il depistaggio dell'assassino

Pressato dall'attenzione investigativa Cianfarani allora decide di raccontare la sua verità. Samanta è rimasta uccisa da un malore improvviso e lui spaventato l'ha gettata nel fiume Liri. Per mesi, le acque del corso d'acqua più importante del basso Lazio, vengono scandagliate dai sommozzatori della Polizia di Stato e da quelli dei Vigili del Fuoco, ma della donna non c'è traccia.
A questo punto gli inquirenti riascoltano l’uomo, ricostruiscono le sue abitudini e si convincono del fatto che possa aver ucciso Samanta e nascosto il corpo in un luogo sicuro. Quando Cianfarani, ormai certo di non essere più oggetto di indagine, parte per una breve vacanza, scatta il blitz nella casa di Fontechiari che ha preso in affitto.

Il ritrovamento del cadavere dietro un muro

Qui tra i vicoli del centro storico viene trovato il corpo di Samanta. Murato in un caminetto in disuso e avvolto in un sacco nero. A fiutare la presenza di un cadavere è stato Orso, cane molecolare della Polizia di Stato. Dal momento del ritrovamento ad oggi sono passati appena quattro anni. Cianfarani oramai 12 mesi ha lasciato la cella del carcere di Cassino dov’era detenuto.
È tornato a casa per essere curato ed assistito dalla mamma e dal papà. Mentre a poche centinaia di metri di distanza un'altra famiglia in maniera composta e dignitosa vive una sofferenza senza fine. Samanta uccisa per una terza volta. Dopo il corpo murato nella cantina credavano non potessere esserci nulla di ancor più grave. Si era sbagliati.

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