rotate-mobile
Cultura

Da Valmontonte a Tokio grazie alla musica. Il racconto di uno splendido viaggio

Descrivere in poche righe le impressioni riscontrate in un viaggio di 18 giorni a Tokyo, al seguito della tournèe che il Teatro dell’Opera di Roma ha effettuato presentando due opere di Verdi - Nabucco e

Descrivere in poche righe le impressioni riscontrate in un viaggio di 18 giorni a Tokyo, al seguito della tournèe che il Teatro dell’Opera di Roma ha effettuato presentando due opere di Verdi - Nabucco e

Simon Boccanegra, sotto la bacchetta di Riccardo Muti - è certo un azzardo: una realtà così complessa non può essere compresa se nondopo tanto tempo e numerose esperienze; chi scrive potrà solo riportare le sue considerazioni sull’onda delle emozioni vissute sul posto. Non resta che cominciare dai dati certi, ringraziando la dirigenza dell’I.C. “Madre Teresa di Calcutta” presieduta dal prof. Pietro Pascale, che ha permesso al sottoscritto, docente di Violino nella sede della S.M.S. Zanella, di usufruire dei permessi scolastici indispensabili per effettuare quel viaggio.

Tokyo: capitale del Giappone, uno potrebbe pensare. Certo, ma anche capitale, innanzitutto, dell’HiTech. E non c’è possibilità di fraintendere: a 360 gradi - ma anche nelle tre dimensioni - vedrete palazzi, grattacieli e costruzioni “monumentali” di varie grandezze realizzati con acciaio e cristalli di varie fogge. Di certo una delle città più tecnologiche del globo, che probabilmente ha superato in grandezza e densità i più moderni insediamenti statunitensi, ed alla quale si accostano le altre due megalopoli marittime orientali, Shanghai e Hong-Kong. La sensazione schiacciante è che in molte parti delle zone in cui è divisa la città, i centri lavorativi e di rappresentanza di grandi e piccole industrie, dei marchi di generi più disparati (dalle automobili ai profumi, dagli elettrodomestici alle agenzie pubblicitarie) e di sedi legali di enormi multinazionali, siano i reali occupanti degli immensi grattacieli e palazzi incassati uno accanto all’altro, inframmezzati da migliaia - migliaia! - di centri commerciali che si snodano su 10 piani ed oltre, negozi che vendono di tutto o solamente articoli di un singolo genere; e poi, in ogni dove, piccoli e grandi ristoranti, che propongono un’offerta quanto mai ampia di cibo e sapori. L’organizzazione nipponica è capillare, quasi maniacale; ve ne accorgerete subito dall’efficienza (sognata da tutti i romani) dei trasporti pubblici su rotaia - decine di linee ferroviarie e metropolitane - e dal modo in cui le persone ne usufruiscono: file diligenti che si aprono per far scendere i passeggeri, silenzio e pulizia all’interno delle vetture, indicazioni precise sulle fermate e sulle coincidenze (in giapponese certo, ma anche in inglese).

A Tokyo ogni cosa, dal numero degli abitanti, ai grattacieli, ai trasporti, ai negozi è fuori scala per noi italiani, e lo sviluppo ultratecnologico che qui si sperimenta è davvero molto lontano dalla nostra realtà. Ma, come diceva lo Zio Paperone delle storie che leggevo alla mia età, “non è tutto oro quel che è luce”. I pendolari che vengono a lavorare ogni giorno nella capitale giapponese sono decine di migliaia, con turni massacranti, e non è difficile vederne diversi dormire in metrò, nei treni, o addirittura - e non stiamo scherzando - nel camminare dal posto di lavoro al chioschetto dove mangeranno qualcosa. Un piccolo esempio, tanto per rendere l’idea: chi lavora come commesso in uno degli innumerevoli centri commerciali ha diritto ad un solo giorno di riposo al mese. La maggior parte dei viaggiatori, nei trasferimenti, viene assorbita dall’uso compulsivo del telefonino, quasi sempre per immergersi nei videogiochi, o per l’ascolto di musica con gli auricolari; questa prassi si ritrova anche tra i passanti che riempiono le strade ad ogni ora, in vere e proprie ondate di umanità che cammina da un crocevia ad un altro. Naturalmente non è pensabile di cogliere il reale spirito della popolazione di Tokyo senza avere la possibilità di entrare nell’intima essenza di queste persone così numerose e multiformi. A tal proposito, il punto di vista del musicista che si trova ad interagire con alcuni di loro per qualche giorno può però arricchire il quadro con un’impressione in più.

La tournèe dell’Opera di Roma prevedeva l’esecuzione di tre spettacoli di Nabucco e tre di Simon Boccanegra, opere di diversi periodi di produzione di Giuseppe Verdi. Nabucco, il primo vero successo del Maestro di Busseto, è del 1842. Stilisticamente è opera ancora grezza, un po’ immatura, anche se il celebre “Va Pensiero” da subito si impresse nell’immaginario popolare. Simon Boccanegra, lavoro del 1858, fu sensibilmente rimaneggiato dal compositore - con l’aiuto di un nuovo librettista, Arrigo Boito - nel 1881. La tarda rielaborazione, avvenuta nel periodo maturo, mutò la sostanza di questa composizione - ambientata nella Genova dogale della metà del ‘300 - e ne ha fatto uno dei frutti più belli della produzione verdiana meno in auge. Gli spettacoli - concertati e diretti con grande abilità ed esperienza dal maestro Muti, che ha una particolare sensibilità per guidare le voci liriche - sono stati apprezzatissimi dal pubblico giapponese, che ha sempre esaurito i teatri ed aspettato con lunghe code, all’uscita, il maestro, i cantanti ed i professori d’orchestra. La passione che i giapponesi nutrono per l’Opera fa parte del grande crogiuolo in cui si mescolano elementi in forte contrasto tra loro, e che sicuramente caratterizzano la vita e le dinamiche della popolazione di Tokyo. È cosa normale, per strada o nei luoghi pubblici, incrociare donne in kimono, giovani che sfoggiano i look più improbabili, compìti uomini d’affari in eleganti abiti occidentali, e bambini e ragazzi che, andando o uscendo di scuola, indossano le tenute proprie del loro istituto. Qua ogni mestiere ha il proprio vestito, la propria divisa: l’impostazione paramilitare della mentalità giapponese si riflette anche nel quotidiano, e nel funzionamento dell’ingranaggio è implicito che ognuno faccia bene quel che deve fare, che sia lavare le scale o pilotare un aereo. Poi, naturalmente, c’è il rovescio della medaglia: se cercate un posto tranquillo, magari un luogo d’arte che porti alla contemplazione ed alla quiete, forse Tokyo non è l’ideale. Le masse di persone che si spostano continuamente hanno un qualcosa di inquietante, a volte: sembra quasi che l’identità di ogni individuo si dissolva nel numero, e questo dato fa riflettere sul prezzo da pagare ad ogni tipo di linea socio-economica che un popolo sceglie di darsi, sempre che non gli venga imposta. Questa megalopoli è sicuramente un luogo da vedere, per chi ne abbia la possibilità; la distanza chilometrica dal nostro paese è poca cosa rispetto allo stile ed ai ritmi di vita che si possono trovare nella più moderna città italiana, e rappresenta senz’altro un modello di modernità che viene tenuto in considerazione in tutto il mondo. Una nota va spesa a totale favore: qui i bimbi, maschietti e femminucce, sono bellissimi. È una considerazione che sembrerebbe gratuita, ma nel contesto di questo caos organizzato rappresenta una “goccia di splendore” che si offre a chi è attento ai volti che passano, freneticamente e continuamente, per le grandi arterie e le piccole stradine di Tokyo.

Giovanni Pandolfo

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Da Valmontonte a Tokio grazie alla musica. Il racconto di uno splendido viaggio

FrosinoneToday è in caricamento