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Roma, al Teatro della Cometa «Frida Kahlo. Il ritratto di una donna»

«Viva la vida» sa gridare la donna,  anche quando l’aborto le ha tolto il respiro della maternità. Una appassionata e gracile rosa tra i minacciosi e sgraziati rovi, l’esistenza umana. Quando poi la vita è quella di  Frida Kahlo bisogna essere...

«Viva la vida» sa gridare la donna, anche quando l’aborto le ha tolto il respiro della maternità. Una appassionata e gracile rosa tra i minacciosi e sgraziati rovi, l’esistenza umana. Quando poi la vita è quella di Frida Kahlo bisogna essere davvero pronti a tutto.

Anche alla sua eterna e ingombrante anima gemella, la morte. «Io ero nata figlia della morte». Ed è proprio questa verità, tanto bella da sembrare uscita dalla più fervida fantasia di un grande artista, a mostrarsi con lo spettacolo «Frida Kahlo. Il ritratto di una donna» in scena dal 16 al 28 febbraio al Teatro della Cometa, Via Teatro di Marcello, 4, Roma. Lo spettacolo di A. Prete, che ne firma anche la regia, I. Maltagliati, L. Setacioli vede l’attrice Alessia Navarro nei panni di Frida. In scena con lei: Ivan Giambirtone, Claudia Salvatore e Giulia Barbone. Sicuramente una sfida interessante per la Navarro. Difficile di sicuro. Nei panni della pittrice sembra essere a suo agio, ma dove riesce a sposare bene la sua sensibilità e quella del suo personaggio è quando pronuncia: «La notte mia mi risponde col buio». In quell’istante preciso Alessia Navarro e Frida Kahlo sono un tutt’uno. Unos cuantos piquetitos è la rappresentazione di un omicidio. Inganna l’uomo quando promette che è Solo qualche pizzicotto. Ma poi uccide. Ivan Giambirtone ha il ruolo dell’essere maschile. Meschino, vigliacco, apatico quasi. Come la sua recitazione che troppo timida si è resa quasi trasparente quando invece avrebbe dovuto chiamare a sé tutte le ire delle donne arrabbiate. Perché sia chiaro: «Non c’è una giusta misura nella morte del cuore». Il pubblico, grazie alle importanti scenografie video THE FAKE FACTORY che si sono estese per tutta la sala, è diventato anch’esso parte dell’opera. Nei quadri. Nei dolori. Nelle rivolte. E le musiche di Stefano Mainetti, che dire, perfette nel loro abbracciare un pubblico di esistenze. Intensi gli interventi della ballerina Giulia Barbone. Ogni muscolo del suo corpo racconta dei tanti sacrifici fatti dalla giovane per amore della sua arte. Porta l’atavica lotta tra la vita e la morte, la gioia e il dolore perenne. «Il risultato della lotta è la vita». Peccato che il suo costume di scena non le abbia dato la giusta visibilità, che l’artista di sicuro avrebbe meritato. Timida l’interpretazione di Claudia Salvatore. La coscienza fa sicuramente più rumore. Anche i costumi di Gisa Rinaldi avrebbero dovuto osare di più, nelle forme e nei colori. D’altronde la donna in questione è Frida Kahlo. È vero che gli avvenimenti della vita sono importanti tutti e ognuno nella singolarità, ma la regia di Alessandro Prete non riesce a legare nella giusta amalgama il turbinio di anarchiche emozioni che avrebbero dovuto stordire, metabolizzate prima per essere poi rigurgitate. Perché se è vero che «La morte può essere tragica». Altrettanto vero è che «La vita può essere oscena». Ecco, le metteur en scène Prete non ha evidenziato abbastanza l’oscenità. Aiuto regia Valentina Morgia. Sound Engineer Tiziano Stampete. Light Design Giuliano Terzoni. Scenografia Tecom. Realizzazione grafica Ince Media. Consulenza storica Silvia Cardi. Amministratore Antonio Cocciardi. Elettricista Stefano Meschini. Photo Azzurra Primavera. Frustrazione, fallimento, ci si abitua in fretta alla sofferenza. Ci si abitua subito. Arrendersi mai. Frida dipinge. E anche il teatro ha sentito l’esigenza di farla rivivere ancora, ancora una volta che non sarà di certo l’ultima. 6 luglio 1907- 13 luglio 1954. «A che mi servono i piedi se ho le ali per volare». E Frida vola ancora.

Veronica Meddi

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