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Cultura

Roma, Al Teatro della Cometa: «Il peccato erotico» di Gennaro Cannavacciuolo non è sesso, ma amore

Senza rancore, io sono l’amore. Questo, il messaggio che erutta come lava sensuale dal vulcano Gennaro Cannavacciuolo.

Senza rancore, io sono l’amore. Questo, il messaggio che erutta come lava sensuale dal vulcano Gennaro Cannavacciuolo.

È amore, il suo, per l’arte. È amore, il suo, per il pubblico che da leggermente diffidente (ovviamente solo nei primissimi istanti e per gioco), non tarda a coinvolgersi in modo totale compartecipando con gioia al tenere il tempo di tutte le emozioni messe in gioco. Che sono tante. «E ci fosse mai una persona che si sosa e se ne va!», ammicca l’artista, determinato ad ammaliare ogni spettatore, chiamandolo per nome, uno a uno. È dal 3 marzo che il pubblico del Teatro della Cometa applaude, canta, ride e partecipa attivo a questo che più che un recital è un simpatico matrimonio di sensi. Nobili, s’intende. «Il peccato erotico» è un divertimento musicale a luci rosa. Non rosse, quelle luci lì Cannavacciuolo le lascia accendere solo a chi dall’arte è ben distante e abbisogna della facile volgarità per riuscire ad attirare l’attenzione. No. Gennaro è totalmente padrone del suo essere. Leggero, come se camminasse su un palco popolato di serpenti, elegante, l’artista ipnotizza con il mistero della forza mista alla fragilità dell’essere umano. Seduce. In scena con lui, tre grandi musicisti: al pianoforte, Marco Bucci, al Clarinetto e Sax Andrea Tardioli, al Violoncello Francesco Marquez. È matematica che segna i ritmi ma annulla il tempo. Era il 1890 quando al Salone Margherita l’escamotage per portare il pubblico a teatro furono “Le serate nere”. E perché erano nere queste serate? Il pubblico non fa in tempo a chiederselo che Gennaro dà all’istante una lista di allusivi titoli che rendono tutto più piccante: Godi anche tu di E. A. Mario, Ce l’hai o non ce l’hai, per non parlare poi di una sospettosa cassa armonica di una certa signora Veronica. Fu Nicola Maldacea che scrisse: «Come un disegnatore, mi ripromettevo di dare al pubblico un’impressione immediata schizzando il tipo, segnandolo rapidamente, rendendone i tratti salienti. Da ciò l'origine della parola macchietta, che è propria dell'arte figurativa: schizzo frettoloso, che renda con poche pennellate un luogo o una persona in modo da darne un’impressione efficace con la massima spontaneità caricaturale»; Gennaro Cannavacciuolo lo mette in scena in modo impeccabile. Passando poi per strani fiori rococò, e attenzione perché i fiori sono tutti importanti, uno su tutti ma questa è un’altra storia, per il peccato della malinconia, per la canzone demential chic del geniale Fiorenzo Fiorentini, e Gennaro indossa proprio la sua originale giacca, mentre si assiste allo spettacolo, s’impara una lezione. Di vita. Apre il secondo atto con La casta Susanna, vestito da Susanna, ovvio. Comicità surreale di Marcello Marchesi. Poi un bel completo “quadritè” per fare la macchietta di un toccante Nino Taranto con Lusingame e un divertente Vittorio Marsiglia con E non sta bene. Non poteva mancare l’omaggio a Yves Montand con Un italien à Paris, così come la storia di una birichina Kodak, Fatte fa ‘a foto. E con Come son nervoso di Nino Taranto, Cannavacciuolo esplode nella perfezione scenica. Peccato sì, ma veniale e senza vizi, in scena al Teatro della Cometa fino al 20 marzo. Imperdibile. Fa bene alla salute e cura dall’ignoranza. In questo pezzo d’arte, l’amido è davvero amico dell’uomo, anche sotto un cappellone a pensilina, costrizioni e libertà gidiane, sono un poetico tutt’uno.

Veronica Meddi

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