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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cultura

Roma, Storie di fine vita. Intervista a Riccardo Campa sul tema dell’eutanasia

Riccardo Campa, sociologo e filosofo, ha appena dato alle stampe un libro dedicato al tema dell'eutanasia (Storie di fine vita, La Carmelina, Ferrara-Roma, 2014). Gli abbiamo chiesto di chiarire i possibili collegamenti di questo argomento con i...

Riccardo Campa, sociologo e filosofo, ha appena dato alle stampe un libro dedicato al tema dell'eutanasia (Storie di fine vita, La Carmelina, Ferrara-Roma, 2014). Gli abbiamo chiesto di chiarire i possibili collegamenti di questo argomento con i temi promossi dall'Associazione Italiana Transumanisti, che presiede da dieci anni.

D - Eutanasia e fine vita.... la posizione transumanista è chiara da anni, libertaria e radicale, un approfondimento?

I transumanisti sono prevalentemente interessati alle tecnologie biomediche che allungano e potenziano la vita. Dunque, tutto si può dire di noi, fuorché che siamo portatori di una "cultura di morte". Tuttavia, il nostro approccio ai temi bioetici è libertario a 360 gradi e, perciò, non possiamo restare in silenzio su questo tema. L'autodeterminazione che invochiamo a riguardo del potenziamento umano e della libertà morfologica deve valere anche per il fine vita, proprio perché le tecnologie non devono mai diventare una condanna, un obbligo, ma devono sempre rimanere una scelta, una risorsa, una possibilità al servizio della "volontà". A maggior ragione per il fatto che la nutrizione parenterale e la respirazione artificiale sono presidi medici che verranno presto superati da altri ancora più potenti, con i quali si potrà prolungare la vita umana in modo ora inimmaginabile. Se si apre la porta in un senso, si deve lasciare la possibilità di chiuderla in un altro, perché il prolungamento radicale della vita è un bene soltanto se è accompagnato da una condizione di eudemonia, ossia di felicità, di serenità, e – in ogni caso – di volontà di vivere. Se la vita diventa un'agonia, una tortura, o magari semplicemente una noia, non vedo nessun buon motivo per vietare a una persona di mettere fine alla propria esistenza.

D - Coloro che sono contrari alla legalizzazione dell'eutanasia dicono che il sofferente può sempre suicidarsi. Non serve coinvolgere medici e legislatori...

Alcune persone non sono in condizione di suicidarsi. Il caso di Piergiorgio Welby e quello analogo di Vincent Humbert sono in tal senso emblematici. Perciò, dobbiamo creare un quadro legale affinché i medici o altri operatori sanitari non vengano incriminati per il solo fatto che staccano le macchine o sospendono le cure, assecondando peraltro una legittima richiesta dei loro pazienti. Ma voglio andare oltre. Ci sono persone sofferenti che – pur non essendo paralizzate – non vogliono suicidarsi in modo cruento, tagliandosi le vene o gettandosi dal balcone. Vogliono che il momento del trapasso sia sereno, accompagnato da una certa solennità, vissuto in presenza delle persone amate, assistito da persone esperte nell'evitare il dolore. Vogliono dare al trapasso una dimensione rituale, cerimoniale, in cui viene celebrata per l'ultima volta la loro volontà. Non vogliono uccidersi di nascosto, quasi come fosse una vergogna, lasciando trovare un cadavere straziato alle persone amate. Ecco perché molte persone scelgono il suicidio assistito in una clinica svizzera. Vogliono una dolce morte, che è poi il significato etimologico della parola "eutanasia". È così difficile capire queste persone, entrare in empatia con loro?

D - In ogni caso in Italia il Parlamento pare congelato su posizioni alla Ponzio Pilato, esatto?

È vero. Quello che si può fare in Svizzera, in Belgio, in Olanda, in Oregon, non si può fare nel nostro paese. Il Parlamento fa orecchie da mercante. Anche i governi che sono teoricamente "laici" e "di sinistra", e che dunque dovrebbero essere in linea di principio aperti all'idea di una legalizzazione dell'eutanasia, si reggono ormai su delicati equilibri che richiedono il supporto cattolico. In Italia, il primo partito per consensi è nato dalla fusione dei resti del PCI e della Democrazia Cristiana. Governa insieme a frammenti del centrodestra cattolico e moderato. Non possiamo aspettarci molto da questo Parlamento e da questo Governo. Ma, per tante ragioni che spiego nel libro, questo non significa che la società civile e il mondo della cultura debbano restare inerti.

D – Anche se lei ha una formazione da epistemologo e metodologo della scienza, ha dato al libro una struttura prevalentemente narrativa. Ha raccontato storie, confinando l'analisi solo nelle conclusioni. Perché? Una concessione al postmoderno?

Proprio per le ragioni che ho menzionato poc'anzi, su certi temi, i lavoratori della conoscenza (non uso il termine "intellettuali" perché suona pomposo) non possono più svolgere semplicemente il ruolo di consulenti o consiglieri dei politici. Ormai, i politici ascoltano e assecondano soltanto poteri molto più forti di quelli rappresentati dal mondo della cultura. Perciò, dobbiamo parlare direttamente alla gente, all'opinione pubblica. E il modo più chiaro e diretto di porre un problema è quello di raccontarlo attraverso storie. In una storia, una vicenda che riguarda una persona reale, il lettore può immedesimarsi, e dunque comprendere non solo attraverso l'intelligenza razionale, ma anche attraverso l'intelligenza emotiva. Racconto storie anche molto crude, come quella letteraria dell'ataman Sucharuka, impalato vivo e condannato a una terribile agonia, ma "graziato" da un colpo di pistola esploso da un ussaro polacco. Il gesto del soldato cristiano, che spara alla testa del povero cosacco impalato, come va valutato? È un atto criminale o un atto di misericordia? Queste storie servono a fare capire che la vita – e non solo quella umana – è certamente un valore, ma questo mondo ci regala anche situazioni peggiori della morte. Su questo dobbiamo riflettere onestamente e serenamente.

a cura di Roby Guerra

INFO

https://it.wikipedia.org/wiki/Riccardo_Campa_%28sociologo%29

www.transumanisti.it

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