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Giovedì, 18 Aprile 2024
Politica

 Roma, Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia

Nel recente articolo apparso in questo quotidiano su “Roma Exit” il Sociologo Luigi Gentili, Segretario del Circolo tematico di Economia della Federazione PD di Roma, ha affermato che “La serietà di una politica economica si vede dalla coerenza...

Nel recente articolo apparso in questo quotidiano su “Roma Exit” il Sociologo Luigi Gentili, Segretario del Circolo tematico di Economia della Federazione PD di Roma, ha affermato che “La serietà di una politica economica si vede dalla coerenza. Quando questa manca, l’obiettivo non è lo sviluppo ma l’accompagnamento felice verso la decrescita”. Sempre secondo il predetto esponente“il male principale dell’economia romana è la mancanza di una politica organica, capace di agire sui nodi vitali dell’economia”. Ci rimane comunque difficile pensare ad una crescita repentina e stabile dopo la devastazione subita per effetto di “Mafia Capitale” che ha lasciato in eredità alla Città Eterna un deficit di bilancio di oltre 13 miliardi di euro. Purtuttavia Roma, prosegue Gentili, sta accelerando l’uscita dai circuiti internazionali della competitività, subendo la dequalificazione del lavoro e l’aumento della precarietà: per non parlare dei giovani dal momento che nella Capitale esistono più di centomila Neet, ossia giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non si professionalizzano. Questo disastro capitolino sarebbe dunque il frutto di azioni basate quasi sempre su singole iniziative, slegate tra di loro e in una continua rincorsa verso la soluzione delle emergenze, dal momento che non esiste un piano strategico per la città. Ci domandiamo a questo punto se Roma Capitale rappresenti davvero il fanalino di coda del “Treno Italia” inteso come la “Locomotiva d’Europa”. Il nostro “Bel Paese” ha forse raggiunto un’economia nazionale prospera, una finanza pubblica poco indebitata, un sistema bancario sano ed una disoccupazione tendente allo zero ? La risposta al nostro quesito la ritroviamo dunque nelle Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella Relazione Annuale del 31 Maggio 2017, che purtroppo ci riportano alla triste realtà. Infatti, mentre nell’area dell’euro la crescita si va consolidando, sospinta dai consumi e dagli investimenti in beni strumentali, l’aumento del prodotto interno lordo dovrebbe essere, quest’anno, prossimoal 2 per cento, ma per il nostro Paese il PIL risulterà pressoché dimezzato. Come se non bastasse anche la Commissione Europea, nel suo ultimo Rapporto sulle previsioni di primavera, ha confermato la nostra crescita del PIL sotto la media europea assegnando all’Italia la poco lusinghiera “maglia nera” indossata dallo Stato europeo che cresce meno.

Altri due grossi fattori di debolezza che riducono i margini di manovra della nostra economia e ci rendono vulnerabili alle turbolenze dei mercati sono rappresentati dal debito pubblico e dai crediti cosiddetti “deteriorati” delle banche.

Il rapporto tra debito pubblico e prodotto è su livelli elevati da oltre trent’anni ed è aumentato rapidamente dal 2008, fino a superare il 130 per cento.

Relativamente ai crediti deteriorati gli effetti della crisi non potevano non riflettersi sui bilanci delle banche. Tra il 2007 e il 2015 l’incidenza sugli impieghi bancari dei crediti in sofferenza (le esposizioni, cioè, nei confronti di debitori insolventi) è più che triplicata. Le difficoltà degli intermediari sono state acuite, in diversi casi, da comportamenti fraudolenti e scelte imprudenti nell’erogazione dei prestiti: è chiaro il riferimento ai salvataggi bancari che tanto agitano le acque del mondo economico e politico.Alla fine dello scorso anno i crediti deteriorati delle banche italiane erano pari a 173 miliardi. Ma è soprattutto nel mercato del lavoro, prosegue la Relazione, che vediamo l’eredità più dolorosa della crisi: nel 2014 il tasso di disoccupazione è stato pari a quasi il 13 per cento, più del doppio che nel 2007; quello dei più giovani (tra i 15 e i 24 anni) dal 20 ha superato il 40 per cento; i valori sono più alti nel Mezzogiorno. Si è ampliato il divario tra la qualità degli impieghi offerti e le aspirazioni dei lavoratori: la quasi totalità degli occupati dipendenti a termine vorrebbe un contratto di lavoro permanente; due terzi dei lavoratori a tempo parziale desidererebbero un impiego a tempo pieno, contro il 40 per cento dieci anni fa. Sono peggiorati gli standard di vita delle famiglie, soprattutto di quelle più disagiate. Nell’ultimo biennio si sono registrati miglioramenti grazie alla ripresa ciclica, agli sgravi contributivi e ai provvedimenti volti a migliorare l’efficienza del mercato del lavoro. Tuttavia, alla fine del 2016 meno del 60 per cento delle persone tra i 20 e i 67 anni aveva un impiego; era occupata appena una donna su due. Tra i giovani con meno di 30 anni, circa un quarto, un terzo nel Mezzogiorno, non aveva un lavoro né era impegnato in un percorso formativo. Sono valori lontani da quelli di gran parte degli altri paesi europei. La questione del lavoro è centrale. Riguarda l’integrazione sociale e la stessa identità personale. Sul piano economico non va vista solo come un problema congiunturale: il potenziale di crescita dell’economia dipende dalla quantità e dalla qualità della forza lavoro e dalla capacità del sistema produttivo di darle un impiego adeguato. Le tendenze demografiche e tecnologiche giocano un ruolo importante, che si accrescerà negli anni a venire. Le affermazioni del Governatore si commentano da sole nella loro gravità sulla nostra situazione economica e sociale.

Concludo con un paragone storico preso dall’antica Grecia: se Atene piange Sparta non ride.Il motto si riferisce alla condizione in cui si ritrovarono le Città greche di Sparta ed Atene al termine della trentennale Guerra del Peloponneso combattuta dal 431 al 404 a.C. Nonostante la grande potenza ateniese la vittoria finale fu di Sparta. Ma i costi e le vittime della guerra furonoimmensi per entrambe le città, così se da un lato Atene pianse a lungo per la sconfitta subìta, dall'altro Sparta date le condizioni disastrose provocate dalla guerra non potette certamente ridere. Per cui, se Roma piange, l’Italia non ride.

GDR

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