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Roma, gli industriali e la fine del "ciclo economico"

di Luigi Gentili L'economia italiana ha difficoltà a risalire la china. E' quanto emerge dall'ultima analisi del Centro studi della Confindustria.

di Luigi Gentili

L'economia italiana ha difficoltà a risalire la china. E' quanto emerge dall'ultima analisi del Centro studi della Confindustria. Negli ultimi 15 anni, tra il 2000 e il 2015, la produttività in Italia è calata dello 0,5%, una cifra elevata, sopratutto se confrontata con le statistiche europee. Nello stesso arco di tempo il PIL è salito del 23,5% in Spagna, del 18,5% in Francia e del 18,2% in Germania. Nel periodo in esame, nel nostro Paese sono calati invece gli investimenti e i consumi, e anche l'industria ha subito un forte contraccolpo. Le previsioni future, sempre per gli economisti del Centro studi, non sono altrettanto rosee: la crescita nel 2016 si attesta ad un +0,7%, meno dello 0,8% annunciato a giugno, mentre il rapporto deficit/Pil va al 2,5% quest'anno e al 2,3% nel 2017. Le probabilità che si tratti di cifre al ribasso sono elevate, sopratutto per quanto riguarda le proiezioni future del PIL, superiori in altre analisi economiche. Un dato però è certo, il margine di flessibilità che serve al nostro Paese dall'Unione Europea è fondamentale.

Decisiva appare la partita con Bruxelles: senza flessibilità la legge di Bilancio salirebbe da 7 a oltre 16 miliardi. Il governo inizia a corre ai ripari, ed emerge lo scontro sulla sanità. Non ci saranno tagli ai fondi alla sanità, assicura il presidente del consiglio Matteo Renzi, che continueranno a crescere. Sul fronte locale le regioni però spingono sull'aumento del Fondo sanitario, che per loro testimonierebbe questa politica anti-austerità. Al livello nazionale, la "molla" per contrastare la crisi sono le riforme in atto, quelle che il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan vede nel taglio dell'Ires per il prossimo anno e nei riflessi positivi del referendum costituzionale. La strada per ritrovare il tempo perduto non è breve, ma molto dipenderà dalle scelte politiche attese nei prossimi mesi.

Anno 2001: per la Confindustria è lì che l'Italia si è fermata. Nel 2001 eravamo un po' meno e un po' più giovani, non c'era l'emergenza stranieri, lo shopping era forsennato, l'inflazione del 2,8% era invidiabile. Oggi, invece, entriamo in una fase economica "incerta", il cui impatto è globale. I sociologi parlano di "stagnazione secolare", quasi ad indicare la fine del classico ciclo economico, il venir meno dell'alternanza tra cadute e accelerazioni dell'economia. Sul fronte politico, ciò determina ovunque la tendenza a rinviare le decisioni di spesa e ad alimentare le aspettative di ribasso. La conseguenza è evidente: molto risparmio e bassa propensione agli investimenti.

I mali del pianeta possono essere catalogabili. Ci sono le variabili geopolitiche, come la Brexit o il golpe turco. Emergono i problemi demografici, con i bassi tassi di incremento democratico nei Paesi occidentali. Frena il commercio mondiale, sopratutto per il ritorno del protezionismo - nei primi mesi del 2016 sono state emanate 350 misure restrittive tra tariffe e sussidi -. La Cina rallenta, avvicinandosi alla crescita modesta della Corea del Sud, e anche l'Europa e gli Usa riducono il passo. Con questo scenario, appare pertanto urgente proseguire una politica che ridia ossigeno alla competitività del sistema paese, attraverso l'abbassamento delle tasse e della spesa improduttiva, contrastando la burocrazia e puntando sulle infrastrutture e gli investimenti pubblici e privati. Nello stesso tempo, la lotta alla povertà deve avere il giusto sostegno.

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