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Valle del Sacco, bonifica ferma ed il problema della puzza che si fa sempre più grande

Il coordinamento ambiente e salute spinge per far intervenire la Regione Lazio con una legge ad hoc

Sull’inquinamento della Valle del Sacco si sono spese tante parole, ma pochi fatti. Dopo la firma dell’Accordo di Programma Quadro (AdPQ) del 6 marzo scorso tra il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, e il Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, ci si sarebbe aspettati un risveglio amministrativo e il riavvio delle operazioni di bonifica inerenti al Sito di Interesse Nazionale (SIN). Ma così non è stato. Si è ancora in attesa dell’insediamento in Regione Lazio del Responsabile Unico dell’Attuazione (RUA) che di fatto a 6 mesi dalla firma concordata tra gli Enti, ancora non dà segni di vita se non nominare società esterne. Di conseguenza non si può nemmeno andare a sollecitare la possibilità di partecipazione attiva di associazioni e comitati.

Che fine ha fatto il cronoprogramma?

“Siamo di nuovo bloccati - Alberto Valleriani del cordinamento  Ambiente e Salute valle del Sacco e bassa valle del Liri il che ci fa pensare ad uno slittamento del cronoprogramma sottoscritto da Ministero dell’Ambiente e Regione Lazio. Nel frattempo, però, qualcosa si muove nel campo investigativo ambientale con il sequestro della Gabriele Group indicata dalle indagini come la responsabile della coltre di schiuma sul fiume Sacco di fine 2018. Un dato positivo che potrebbe far pensare ad un cambio di passo se ciò venisse confermato dall’apertura di un procedimento penale e, soprattutto, da una conclusione dello stesso entro i tempi di prescrizione.

L’altro grosso problema della puzza in tutta la zona

I cittadini della valle del Sacco però si trovano da tempo a fronteggiare un altro problema, quello degli aspetti odorigeni, le cui cause ad oggi non sono completamente svelate da indagini giudiziarie e sui quali  riteniamo sia necessario aprire un dibattito normativo a livello regionale. Da Colleferro, con la discarica di Colle Fagiolara, a Patrica con l’intervento di interdizione del sindaco su una delle aziende - poi rientrato con l’intervento del Tar di Latina -; da Ceccano, con le esalazioni provenienti presumibilmente dal depuratore chimico fisico di proprietà dell’ASI (gestore A&A) a Colfelice e Roccasecca, fuori dai confini della Valle del Sacco ma sempre legati al nostro territorio con l’impianto di TMB e la discarica locali, la puzzala sentono tutti,  ma nessuno si muove. Il problema reale è che manca una normativa nazionale di contrasto. O meglio, l’intervento viene demandato a normative regionali.

Il Decreto Legislativo n. 183 del 15.11.2017 all’art. 8 apre la finestra sull’aspetto odorigeno derivante da impianti industriali, modificando il Testo Unico Ambientale (TUA) art. 272 bis. Dlgs 152/2006, nella forma: “La normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo. Tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata, e fermo restando, in caso di disciplina regionale, il potere delle autorizzazioni di stabilire valori limite più severi con le modalità previste all’articolo 271”. [l’art. 271 è più generico sulle emissioni industriali].

Le competenze della Regione

Quindi spetta alla Regione Lazio normare gli impatti odorigeni e ciò ci sembra lontano dall’agenda consiliare, se non in qualche intervento autorizzativo di impianti, ma molto generico. Nel vuoto normativo però ci si può appellare ad una sentenza della Corte di Cassazione penale, del 23/03/2015, n. 12019. "Il reato di cui all'art. 674 cod. pen. (Getto pericoloso di cose) è configurabile anche in presenza di 'molestie olfattive' promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti, come nel caso di specie), e ciò perché non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche - e, quindi, valori soglia - in materia di odori; con conseguente individuazione del criterio della 'stretta tollerabilità' quale parametro di legalità dell'emissione, attesa l'inidoneità ad approntare una protezione adeguata all'ambiente ed alla salute umana di quello della ìnormale tollerabilitàì, previsto dall'art. 844 cod. civ. in un'ottica strettamente individualistica."

E’ assodato che un intervento in tal senso rientri nel confine della discrezionalità, ma in attesa che la Regione Lazio trovi tempo per prendere in seria considerazione l’emanazione di una Legge nel merito, al momento il “getto pericoloso di cose” resta l’unico strumento giudiziario per far si che i cittadini della Valle del Sacco possano sperare di riaprire le finestre delle loro abitazioni. Invitiamo pertanto i rappresentanti istituzionali a tutti i livelli dei territori che vivono quotidianamente un disagio come il nostro a farsi portavoce presso la regione Lazio e in tempi brevi per la modifica dell’ordinamento sulle emissioni odorigene come è stato già fatto in altre regioni”.

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