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Frosinone, I giovedì dell’accademia con Riccardo Vannucci “Quale architettura: ruolo e rilevanza di una pratica marginale”

Giovedì 24 marzo 2016 alle ore 16,00, presso la sede dell’Accademia nel palazzo Pietro Tiravanti, avrà luogo il quarto incontro della quarta edizione de I giovedì dell’Accademia, che continuano ad offrire al pubblico la possibilità di conoscere i...

Giovedì 24 marzo 2016 alle ore 16,00, presso la sede dell’Accademia nel palazzo Pietro Tiravanti, avrà luogo il quarto incontro della quarta edizione de I giovedì dell’Accademia, che continuano ad offrire al pubblico la possibilità di conoscere i protagonisti della cultura italiana e internazionale e l’occasione per approfondire tematiche di questo nostro tempo.

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Come per le precedenti edizioni, anche per quest’anno le proposte dall’Accademia, per affermare con determinazione il proprio ruolo nel territorio frusinate spaziano dalle arti visive alle discipline dello spettacolo, dall’architettura alla politica.

Tra marzo e maggio, infatti, saranno ospiti dell’Accademia Matteo Garrone, Flavio Caroli, Fabrizio Plessi, Riccardo Vannucci, Francesco Rutelli, Fabio Sargentini, Bruno Ceccobelli, Mario Perniola e Micaela Ramazzotti. Attraverso, ricordi ed esperienze ognuno di loro ha proposto e proporrà riflessioni sulla cultura, l’arte e l’attualità.

Ancora una volta l’Accademia invita tutti a partecipare a uno dei momenti più importanti dell’attività didattica: il fondamentale dialogo con artisti, critici, architetti, galleristi, studiosi, registi, attori, filosofi, che proporranno la loro interpretazione della realtà contemporanea attraverso il racconto della loro esperienza.

L’ospite del quarto incontro dell’edizione 2016 è l’architetto: Riccardo Vannucci.

Vannucci si occupa da tempo di progettazione architettonica nell’ambito della cooperazione internazionale.

Questo tipo di esperienza si presta allo sviluppo di due ordini di considerazioni: da un lato consente di affrontare criticamente il tema generale del ruolo e della rilevanza dell’architettura come pratica professionale e come disciplina, da un altro offre un punto di vista sul senso e i limiti della cooperazione internazionale, questione assai delicata in tempi di crescenti turbolenze migratorie.

Dal punto di vista del ruolo dell’architetto si tratta di riconoscerne la crescente marginalità sociale, ed economica, come fenomeno generalizzato : al di là di poche episodiche eccezioni, la nostra reale capacità anche solo di contribuire a dare forma al mondo è assai relativa per usare un eufemismo.

Per quanto riguarda poi la riserva indiana dell’architettura cosiddetta sociale, inclusa quindi quella per la cooperazione allo sviluppo e per l’emergenza, questa appare molto spesso dominata da una combinazione perversa di Realpolitik e relativismo culturale, fattori tutt’altro che propulsivi.

A collegare le due tematiche, una constatazione: soprattutto nell’ambito della comunicazione, esiste il pericolo che si determini una confusione tra impegno sociale e appropriatezza architettonica. Non esiste ovviamente una correlazione tra le due cose: non c’è impegno sociale o umanitario che da sé determini buona architettura.

In questo contesto appare imperativo sottrarsi alla retorica dell’impegno come atto individuale e neutrale, riconoscendone implicazioni, e presupposti, di natura politica.

La distanza tra quanto viene fatto e ciò che dovrebbe essere fatto è immensa, così come discutile è l’efficacia reale di quanto comunque viene fatto: gli architetti, ma non solo loro, hanno in questo stato di cose una posizione ambigua, qualcuno ne beneficia, molti ne soffrono, a seconda della loro posizione nel gioco delle relazioni e dell’identità sociale.

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