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Lunedì, 29 Aprile 2024
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L'astrofisico ciociaro mette a segno un altro risultato storico: immortalato il corpo celeste ai confini dell'Universo

Il corpo celeste è così lontano che la sua luce osservata oggi dalla Terra, è partita quasi 12.9 miliardi di anni fa

Il Virtual Telescope Project dell'astrofisico ciociaro Gianluca Masi compie un'osservazione record ai confini dell'Universo. Fotografato il più lontano quasar osservabile nel visibile, la sua luce ha viaggiato nello spazio per quasi 12,9 miliardi di anni. Lo strumento robotico da 356 mm di diametro è riuscito, infatti, nell'incredibile impresa di immortalare il corpo celeste in assoluto più remoto del cielo boreale osservabile alle lunghezze d'onda della luce visibile, ai confini dell'Universo. Si tratta dal quasar SDSS J114816.64+525150.3, collocato nella costellazione dell’Orsa Maggiore. Esso è così lontano che la sua luce osservata oggi dalla Terra, è partita quasi 12.9 miliardi di anni fa, quando l'Universo aveva meno di 900 milioni di anni, contro l’età attuale stimata in 13.7 miliardi di anni.

Mai prima d'ora un telescopio da 350mm di diametro aveva scrutato così indietro nello spazio e nel tempo

Un risultato storico, che è stato possibile anche grazie alla straordinaria qualità del cielo notturno di Manciano (GR), dove sono installati gli strumenti del Virtual Telescope Project. Quel territorio, infatti, è caratterizzato dal cielo più stellato e privo di inquinamento luminoso di tutta l’Italia peninsulare e per tali qualità ambientali meriterebbe – come avviene da tempo in altri Paesi europei - di essere preservato come parco delle stelle, viste le straordinarie osservazioni astronomiche che permette, come quella da record qui annunciata.

Quando venne scoperto nel 2003, SDSS J114816.64+525150.3 divenne il quasar più distante in assoluto al tempo conosciuto. Da allora, sono solo otto i quasar più remoti individuati, ma esso resta il più lontano osservabile alle lunghezze d’onda della radiazione visibile, ovvero quella cui sono sensibili i nostri occhi, collocato nel cielo boreale.

“A causa dell’espansione dell’universo, la radiazione elettromagnetica sperimenta il cosiddetto redshfit, un effetto cosmologico che determina uno spostamento verso il rosso della lunghezza d’onda osservata, tanto più marcato quanto più la sorgente è lontana”, commenta Gianluca Masi, astrofisico e direttore scientifico del Virtual Telescope Project. “Su questo quasar, avente un redshift z=6.42, l’entità del fenomeno è tale che quasi tutta la sua luce è spostata nell’infrarosso, solo un piccolissima parte resta nel dominio del visibile”, continua l’astrofisico. “I pochissimi quasar noti più lontani sono osservabili, invece, soltanto nell’infrarosso”, aggiunge Masi.

La camera di ripresa utilizzata, basata su un sensore CCD, presenta una residua sensibilità a quelle lunghezze d’onda, il che ha contribuito alla riuscita dell’impresa.

“Mai fino ad oggi uno strumento del calibro di 350mm mm aveva spinto il proprio sguardo così lontano”, commenta Gianluca Masi. Nell’immagine ottenuta sono state registrate sorgenti fin quasi alla magnitudine 25, con un tempo di posa di quasi sette ore, il che conferma che telescopi simili a quello qui impiegato possono fare molto, soprattutto se utilizzati sotto un cielo davvero puro e favorevole, come quello di Manciano (GR). “Nell’ottobre del 1982, il celebre telescopio da 5 metri di diametro di Monte Palomar - che ha una capacità di raccolta luce 200 volte superiore allo strumento da noi impiegato - riprese la prima immagine della cometa di Halley, al tempo in avvicinamento al Sole, mentre era di magnitudine 24.1, evidentemente oggi alla nostra portata”, aggiunge Masi.

È importante rilevare che questo oggetto celeste non beneficia di alcun effetto di amplificazione da parte di lenti gravitazionali, il che lo rende decisamente più difficile da osservare.

Il significato dell'osservazione

Non è solo l’incredibile distanza da record superata con questa osservazione a restituire una straordinaria emozione, ma anche il significato di quella flebilissima luce catturata dagli occhi attenti del Virtual Telescope Project. Quel punto quasi impercettibile, che nel cielo della Terra appare un miliardo di volte più debole della Stella Polare, si trova così lontano nel tempo che, all’epoca, l’Universo attraversava la cosiddetta “Era della Reionizazione”, tra 150 milioni e un miliardo di anni dopo il Big Bang, dovuta all’energia irradiata dalle prime stelle e galassie formatesi in quel Cosmo primordiale.

Il quasar SDSS J114816.64+525150.3 è tra gli oggetti più energetici del cielo, uno degli abitanti più luminosi dell’Universo di allora, “animato” da un colossale buco nero centrale dalla massa pari a miliardi di stelle come il Sole.

I quasar rappresentano i nuclei luminosi di galassie lontane, il cui “motore” è un buco nero supermassiccio. Esso riceve continuamente materiale dallo spazio circostante che, in attesa di precipitare al suo interno, indugia in un disco di accrescimento molto caldo, che rilascia un'enorme quantità di energia, tanto da rendere i quasar tra gli oggetti più luminosi del cielo, visibili fino a distanze profondissime.

Un’osservazione così estrema sottolinea le straordinarie capacità e potenzialità del Virtual Telescope Project e del cielo del luogo, Manciano, dove esso è installato. Solo negli ultimi mesi, i suoi strumenti avevano consentito la scoperta di una probabile nova nella Galassia di Andromeda e di un nuovo candidato blazar in una delle regioni di cielo più battute in assoluto. Questo si aggiunge allo straordinario contributo del Virtual Telescope Project alla diffusione della cultura scientifica, attraverso collaborazioni con i più importanti media del pianeta.

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