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I produttori di cacio romano del Lazio vincono in tribunale. Ora il riconoscimento del marchio DOP

La Cassazione ha bocciato il ricorso dei produttori sardi

Una battaglia legale che ha visto protagonista il cacio romano. Sembra incredibile ma si è conclusa da poco, con l’ordinanza della Cassazione, una diatriba che vedeva coinvolti i produttori di ovino sardo contro la “Formaggi Boccea”, azienda che usa il marchio “cacio romano” per i suoi prodotti. Grazie a questa sentenza il particolare formaggio laziale potrà avere una sua DOP.

Tutela degli allevatori laziali

Ha salutato con soddisfazione l’ordinanza della Cassazione la Coldiretti Lazio che, insieme alla Regione, ha sostenuto la “Formaggi Boccea”. “Dopo anni di battaglia il cacio romano potrà avere una sua DOP a vantaggio di oltre cinquemila allevatori del Lazio, dove sono presenti più di 800 mila capi di ovini” ha detto, in una nota, il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri.

La battaglia legale

Prima di questa sentenza, l'appellazione di "origine protetta" era attribuita ad un altro formaggio stagionato, il pecorino romano. Nonostante il nome, però, il 97% viene prodotto fuori dal Lazio, in larghissima parte in Sardegna, ma anche nella provincia di Grosseto. Da anni, i produttori caseari laziali stanno proponendo l'istituzione del "cacio romano" di origine protetta. Contrari all’iniziativa, i produttori del consorzio per la tutela del formaggio pecorino DOP, di stanza a Macomer, in provincia di Nuoro. Dopo la sentenza a favore dei produttori laziali arrivata dalla Corte d’Appello, ora la Cassazione sembra aver chiuso definitivamente la vicenda.

Riconoscimento del marchio

Secondo la Coldiretti Lazio, “questa sentenza dovrebbe rappresentare un’apertura al riconoscimento del marchio DOP per il cacio romano, una richiesta che abbiamo avanzato da tempo - sottolinea il presidente Granieri - e da troppo tempo il dossier è fermo sui tavoli ministeriali. La mancanza del riconoscimento del marchio Dop penalizza il Lazio. Questa scelta favorirebbe lo sviluppo del sistema zootecnico laziale, consentendo così l’utilizzo di una quota significativa di latte ovino, per la realizzazione di un prodotto di grande distintività e competitività sul mercato. Allo stesso modo sarebbe opportuna una distintività del pecorino romano Dop laziale da quello prodotto in Sardegna”.

Prodotti diversi

La Cassazione ha stabilito, in sintesi, che la “Formaggi Boccea” può continuare ad usare il marchio “cacio romano” perché con il pecorino romano sussisteva la “radicale diversità dei prodotti e l’assenza di alcuna similitudine fonetica e logica delle due denominazioni”. Questo rendeva quindi impossibile ipotizzare “un agganciamento parassitario alla notorietà del marchio pecorino romano”. Per la Cassazione, in sostanza, la Corte di Appello “ha ritenuto le parole “pecorino” e “cacio” il cuore dei rispettivi marchi, ritenendo, invece, verosimilmente il termine “romano” come una mera indicazione di provenienza e, come tale, non avente carattere distintivo”.

Differenza tra i formaggi

La Corte d’Appello di Roma, nel 2019, entrando nel merito della vicenda, definiva anche le differenze tra i due prodotti caseari. Il pecorino romano è un “formaggio aromatico e piccante, stagionato (a pasta dura o cotta), impiegato essenzialmente come formaggio di grattugia, prodotto con latte di pecora”. Il cacio romano, invece, è un “formaggio dolce, semistagionato, che richiama la caciotta a pasta molle di latte anche vaccino (riconducibile quindi alla mucca) che non si può grattugiare ed è quindi impiegato solo come formaggio da tavola”.

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