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San Giovanni Incarico, cittadinanza onoraria al prefetto Sandro Lombardi: l’intervista

Entrato nel 1975 all’Accademia del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, ha chiuso la sua brillante carriera a Trento. È stato altresì funzionario, formatore e commissario. Nelle scorse ore il riconoscimento concesso dalla natale cittadina ciociara

“Cittadino, conserva questa pergamena come segno dell’animo con cui San Giovanni Incarico, oggi, ti annovera tra i suoi più nobili figli”. Così, pronunciando la formula di rito, il sindaco Paolo Fallone ha concesso la cittadinanza onoraria al prefetto Sandro Lombardi, nato nel paese ciociaro il 26 agosto 1956.

Ha recentemente chiuso la sua brillante carriera a Trento, iniziata il 20 ottobre 1975 entrando nell’allora Accademia del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, negli anni confluita prima nell’Istituto e poi nella Scuola superiore di polizia. Ha vissuto e studiato a Napoli e Roma ed è stato attivo soprattutto in Lombardia, ma anche all’estero. Anche come funzionario, formatore, dirigente e commissario, partecipando alle note operazioni Dozier e Vallanzasca.

Durante la cerimonia tenuta a San Giovanni Incarico, il prefetto Lombardi ha parlato delle sue origini partendo dalla sua famiglia che abitava nel centro storico del paese dove oggi, concittadini, familiari e parenti, lo hanno accolto calorosamente. Nacque da Assunta Martino e Pasquale Lombardi, che lavorò nel Museo archeologico di Napoli e fu sequestrato assieme a suo fratello Tommaso quando gli Alleati erano a un passo dallo sfondamento della Linea Gustav nella battaglia di Cassino.

Rievocando la sua fanciullezza ha sottolineato il valore della famiglia. Quei sani principi che lo hanno accompagnato per tutta la vita, dedicandosi al servizio dello Stato e dei cittadini, mettendo sempre al primo posto l’umanità e la comprensione, uniti al rispetto delle regole. Ha poi parlato degli obiettivi raggiunti, condivisi in uno spirito di squadra proteso verso una crescita umana. A TrentoToday.it, che lo ha intervistato a seguito del congedo, ha dichiarato: “Non esistono solo le attività, le operazioni. Non siamo dei robot, ma persone in carne ed ossa. C’è bisogno di molta umanità”.

Quali sono le operazioni, dopo Dozier e Vallanzasca, che ancora oggi ricorda nitidamente?

“Tra le operazioni che ancora oggi ricordo c’è la liberazione dal sequestro dell’allora 19enne Roberta Ghidini a Centenaro di Lonato da parte di una banda di calabresi al mattino del 15 novembre del 1991. Venne liberata in Calabria circa un mese dopo. Le indagini furono magistralmente condotte dai responsabili del Servizio Centrale operativo della Polizia di Stato e dai funzionari e operatori della Squadra Mobile di Brescia. E poi c’è stata quella della strage di Torchiera di Pontevico, dove vennero uccisi tutti i componenti della famiglia Viscardi: padre, madre e i due figli da due banditi jugoslavi originari della Serbia: Ljubisa Vrbanovic, conosciuto come Manolo e Ivica Bairic, nella notte di Ferragosto del 1990. Questi non si erano limitati solo al pluriomicidio, ma picchiavano, violentavano e rapinavano le persone in gran parte del centro-nord Italia. Mi colpì l’efferatezza con la quale agivano queste persone e poi le indagini certosine che vennero condotte in quell’anno: dal casellante che ha visto la macchina passare ed era riuscito a realizzare l'identikit, alla polizia scientifica che aveva rilevato determinate impronte sull’auto utilizzata dalla banda; all’analisi dei tabulati telefonici che ci ha permesso di tracciare perfettamente il movimento della macchina attraverso i ripetitori. Un grande lavoro, anche considerando che la strumentazione non era quella di oggi”.

Quando ha deciso che avrebbe fatto questo lavoro?

“Dopo aver conseguito l’esame di maturità, vidi dei manifesti affissi sui muri della città, dove veniva annunciato il 12esimo concorso per l'Accademia del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza del 1975. A distanza di diversi anni, poi, per puro caso trovai l’originale di quel manifesto in un ufficio del Ministero dell'Interno. Lo recuperai e, insieme all’amico Giuseppe Reccia, anche lui in polizia e oggi in pensione dopo essere stato Questore di Mantova, abbiamo fatto realizzare delle litografie che abbiamo consegnato a tutti i colleghi del nostro corso, in occasione di uno dei nostri raduni che organizziamo ogni cinque anni. Abbiamo regalato loro un ricordo. Quell’anno partecipai a diversi concorsi, il primo fu quello dell'Accademia di polizia, il secondo quello di Sanità Militare, perché la mia aspirazione era quella di fare il medico e poi sono finito a fare un po' il ‘chirurgo medico della società’ piuttosto che dei malati. Sono andato via a 18 anni e mezzo e ho dedicato la mia vita allo Stato. Il 20 ottobre del 1975 sono partito da Napoli e così come in un film che me piace molto: ‘Nuovo Cinema Paradiso’ di Tornatore, negli anni ho sentito sulla mia pelle quel momento in cui Totò sta per partire da Giancaldo e si inginocchia davanti ad Alfredo che lo intima a non tornare in quel paese del sud, di non farsi fregare dalla nostalgia. Quell’immagine mi viene spesso in mente, perché effettivamente qualche volta anche io mi sono trovato in quella condizione psicologica. Era un messaggio forte che non avevo colto la prima volta in cui ho visto il film, ma negli anni ho compreso l’insegnamento che l'anziano del sud dava al promettente regista: per raggiungere qualche risultato nella vita, nella propria carriera, occorre fare a meno del ricordo, che rimane sempre indelebile dentro ognuno di noi. Un po' tutti quelli della mia generazione e anche di quella precedente, comprendono quel messaggio”.

Se dovesse guardare al passato, c’è qualcosa che le provoca sofferenza?

“No, ho avuto una carriera piena di soddisfazioni. Da dove sono partito e per tutti questi anni, sia durante lo svolgimento delle funzioni di funzionario della polizia di Stato sia durante quelle di Prefetto mi sono attenuto al l'articolo 54 della nostra Costituzione per i pubblici ufficiali: ho servito i nostri cittadini sempre al massimo con lealtà e trasparenza, immedesimandomi nelle loro richieste e nelle loro esigenze. L'unico rammarico, se così si può definire, è quello di aver svolto una carriera importante, ma di non aver potuto condividere questo risultato con i miei genitori, che sono scomparsi deceduti prima del tempo. Sicuramente sarebbe stati felici e onorati di questo traguardo, quello di Prefetto”.

C’è qualcuno che deve ringraziare per questi anni, che ha segnato il suo percorso significativamente?

“Sicuramente il capo della polizia e il Ministro dell'Interno per aver voluto dare fiducia alla mia persona per svolgere un incarico molto delicato come quello del Prefetto. Ci sono delle persone che devo e voglio ringraziare, perché sono state determinanti nella mia vita: gli innumerevoli collaboratori con i quali ho lavorato nell'ambito della Polizia di Stato, così come l'amministrazione civile dell'Interno. Ho incontrato molta umanità, professionalità e sensibilità in questi anni. Sono state diverse le persone che hanno segnato positivamente il mio percorso professionale: il dottor Antonino Ales, fondatore della Scuola di polizia giudiziaria di Brescia-Milano; il dottor Alessandro Marangoni, era il vice direttore nel 1979, quando presi servizio alla scuola di polizia giudiziaria di Brescia, lui mi ha ‘instradato’ e poi è stato anche vice capo vicario della polizia; e il dottor Adamo Gulì, che dirigeva la scuola di polizia di Piacenza ed è stato il Questore di Ancona; il dottor Gaetano Chiusolo, ex questore di Brescia, Prefetto direttore centrale anti crimine-Ministero Interno. Loro mi hanno dato un’impronta, ma ne potrei citare molti”.

Qual è oggi per lei un tema attuale e sul quale è necessario lavorare?

“Un tema attuale, secondo me, è quello che racchiude l'educazione alla legalità, il rapporto con il giovane, la trasmissione dei valori alle nuove generazioni. Io che sono stato per tanti anni nel mondo della formazione lo sento ancora oggi. Spesso qualche volta si parla male dei giovani. Penso sia un qualcosa che viene fatta da sempre. Anche in passato, su 10 giovani 8 erano ritenuti bravi e due venivano sempre considerati borderline. Siamo noi che ci dobbiamo interrogare su cosa si possa fare per tirare il meglio anche da questi due. I ragazzi di oggi sono preparati, volenterosi, noi dobbiamo accompagnarli in un percorso virtuoso dove loro possano mettere in gioco le qualità e le migliori virtù”.

Cosa lascia a chi verrà dopo di lei?

“Lascio al mio successore la consapevolezza, per averlo sperimentato di persona, di una terra sana, nonostante qualche difficoltà. Una terra che ha delle tradizioni, una cultura, uno spirito proteso al lavoro”.

Cosa farà dal 1° di settembre?

“Andrò a Brescia, dove abito con la mia famiglia. La prima cosa che farò, visto che mi è stato chiesto da dei colleghi, andrò nelle scuole di polizia per parlare con i giovani che, proprio il 23 agosto hanno iniziato il corso di allievi agenti. Sarò sicuramente impegnato su questo, è una cosa che faccio con piacere perché io credo molto nei giovani e in particolare in quelli che scelgono determinate professioni come quella della polizia. Poi mi dedicherò a riscoprire la chitarra che ho abbandonato qualche anno fa e ad aggiornarmi sulle canzoni che vanno di moda, preferisco la musica italiana”.

C’è qualcosa che secondo lei, spesso, non viene considerata da parte delle persone nei confronti delle forze dell’ordine?

“Sì, c’è. A volte le persone vedono solo le attività, le operazioni delle forze dell’ordine, ma noi non siamo dei robot, ma persone in carne ed ossa. Proprio su questo mi ricordo un fatto che avvenne a Brescia nel 1986. Prendemmo una denuncia di una mamma per la scomparsa del figlio minorenne. Insieme al mio autista Domenico Prosperi, scomparso a seguito di un conflitto a fuoco, facemmo un giro per la città per cercarlo, ma subito non lo trovammo. Inviammo una nota a tutte le volanti, alle squadre mobili per cercarlo e anche noi facemmo qualche altro giro. Domenico ebbe un’intuizione e mi disse di fermarci in un bar nella zona di Brescia 2. Dopo essere entrati, vedemmo un bambino che giocava a flipper, facemmo finta di niente e bevemmo il caffè. Domenico pronunciò a voce alta il suo nome e riuscimmo a farlo salire in auto. Quando gli chiedemmo perché fosse scappato, ci rispose che era stufo di sentire i genitori litigare. Quando la mamma venne a prenderlo, non fece alcuna mossa, né disse alcuna parola. Quella è una storia che mi ha segnato per tutta la vita e che ci deve far riflettere sull'educazione dei giovani che è fondamentale e sull’umanità, della quale abbiamo bisogno”.

La brillante carriera del Prefetto Lombardi

La carriera del Prefetto Sandro Lombardi è iniziata il 20 ottobre del 1975, il primo giorno in cui è entrato all'Accademia del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza a Roma. Al tempo la polizia era ancora militarizzata, oggi non lo è più ed è diventata la Scuola Superiore di Polizia. Entrò in accademia per frequentare il corso quadriennale, al termine del quale si è classificato secondo del corso ed è stato assegnato alla Scuola di Polizia Giudiziaria di Brescia, la Pol Gai (Polizia giudiziaria amministrativa investigativa).

Negli anni Settanta si preparava il personale destinato alle Digos, per contrastare il terrorismo, alle Squadre Mobili e alle Criminalpol (Direzione centrale della polizia criminale) per la lotta contro la criminalità organizzata (mafia, ‘ndrangeta e camorra). Lombardi è entrato in servizio l’anno dopo l'uccisione di Aldo Moro, nel 1979. Dopo è andato in Questura a Brescia, dove ha diretto la squadra volante. In quegli anni ha partecipato a diverse operazioni polizia, fra le quali quella relativa al rintraccio del luogo dove era sequestrato il generale Dozier, da parte delle brigate rosse.

In seguito, ha partecipato alla vigilanza del noto Renato Vallanzasca che, dopo essere scappato dal carcere di San Vittore insieme al brigatista Alunni, venne catturato da una pattuglia delle Volanti di Milano e ricoverato in ospedale in seguito di un conflitto a fuoco che aveva avuto con gli agenti. È stato presente in diversi Summit e G8. A Palermo è stato impiegato nei servizi di controllo del territorio predisposti dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio.

È stato a capo della Segreteria di Sicurezza, punto di controllo NATO-UEO, responsabile per la supervisione delle disposizioni e delle norme per la sicurezza sulle operazioni crittografiche COMSEC e funzionario EAD, responsabile per l'applicazione ed il rispetto delle norme per il mantenimento dei sistemi di sicurezza ed elaborazione automatica dei dati, per le esigenze della Direzione Centrale dei Servizi Tecnico Logistici e della Gestione Patrimoniale; Responsabile di Obiettivo Operativo 1.1 ASSE I del P.O.N. - Programma Operativo Nazionale "Sicurezza per lo Sviluppo-Obiettivo Convergenza 2007-2013".

Nel 2014 ha assunto l'incarico di dirigente dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza Viminale al Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno. Ha svolto missioni all'estero a Tirana, Washington e New York, in Brasile, in Portogallo, a Lisbona e Tel Aviv.  È stato il direttore del Centro di Formazione Linguistica della Polizia di Stato a Milano per la formazione dei poliziotti delle lingue inglese e francese. Ha diretto anche la Scuola di polizia giudiziaria di Brescia.

“Con orgoglio posso dire che in tutta la mia esperienza di formatore ho contribuito ad addestrare circa 17000 operatori di polizia di tutti i gradi e livelli, dall'agente ausiliare fino ai funzionari di polizia - afferma il Prefetto -. E, forse, è stato veramente un momento esaltante, perché venivamo dalla riforma della Polizia di Stato, la legge 181/81 che smilitarizzava la polizia di Stato”. Dopo aver formato migliaia di agenti, è stato nominato Prefetto nel 2017, prima assegnato alla Prefettura di Mantova e poi, il 17 dicembre del 2018 è stato nominato Commissario del Governo a Trento.

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