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L'intervista / Cassino

"Tante tragedie si potrebbero evitare se ci fosse sinergia. Il mio operato silente ha aiutato i cittadini"

Intervista a tutto tondo con Maria Beatrice Siravo, sostituto procuratore in servizio per due decenni a Cassino e da qualche giorno trasferita presso la Procura Generale di Napoli

Una donna tenace che ha segnato il passo della attività investigativa nel basso Lazio. Maria Beatrice Siravo, sostituto procuratore della Repubblica di Cassino dopo 27 anni di servizio continuato nel palazzo di giustizia della città martire, lascia il suo incarico per ricoprire il ruolo di giudice presso la corte d’appello di Napoli.

Un incarico di prestigio che chiude un importante cerchio lavorativo. Intelligente, sensibile, caparbia e soprattutto pronta al confronto, il magistrato Maria Beatrice Siravo ha portato avanti alcune delle più importanti indagini che la procura di Cassino possa ricordare negli ultimi due decenni. Non c’è stato omicidio, stupro o attività criminale che non sia stata risolta o smantellata sotto le direttive della pm.

Sue le indagini hanno assegnato alla giustizia l’assassino di Gilberta Palleschi, la professoressa di Sora brutalmente uccisa mentre faceva jogging. Risolto anche l’omicidio, in ambito familiare, dell’avvocato Paolo Matrunola picchiato a morte dall’ex compagna. E poi ancora la risposta a un fatto gravissimo, avvenuto nel pieno centro di Cassino: il tentato omicidio di una coppia di fidanzati e un altro tentato omicidio rivolto a una famiglia che vive in un alloggio popolare. Episodi che hanno consentito di dare il via a un’indagine di caratura nazionale “La storia infinita”.

Un procedimento penale che è stato assorbito dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma proprio per lo spessore criminale dei protagonisti. Un’inchiesta che ha fatto emergere legami occulti della delinquenza cassinate con la criminalità organizzata campana e che soprattutto ha portato alla collaborazione di un esponente di spicco, divenuto il primo pentito del basso Lazio. “La 'storia infinita' è stata un’indagine che ha fatto da spartiacque tra la città onesta e laboriosa e quella vissuta in maniera occulta e illecita - ci spiega la dottoressa Siravo -. Da un episodio grave inerente un tentato omicidio, grazie all’acume investigativo dei carabinieri da me coordinati, siamo riusciti a ricostruire un mondo parallelo composto di spaccio di droga, ritorsione, estorsione stile Gomorra. Un impianto accusatorio che ha trovato conferma in tutti i gradi di giudizio e questo ha certificato la bontà delle indagini “.

La dottoressa Siravo è colei che anche riaperto l’indagini sull'omicidio della diciottenne di Arce, Serena Mollicone, “non abbiamo tralasciato nessun aspetto per cercare di fare piena luce su quanto accaduto alla giovane - sottolinea la dottoressa Siravo -. È stato fatto il possibile perché simili episodi non dovrebbero mai accadere e soprattutto quando accadono non devono mai essere sottovalutati”. Un ruolo, quello di pubblico ministero che Maria Beatrice Siravo ha svolto in una procura composta soprattutto da uomini. Questo è stato da stimolo e non da impedimento per un passo che è stato un esempio per tante altre donne: sia nel mondo forense che nel mondo della magistratura.

“Quando ho intrapreso la carriera in magistratura eravamo poche donne, veramente poche e tutte costrette a combattere quotidianamente contro una schiera di colleghi. Per questo abbiamo dovuto faticare il doppio. Sono stati anni difficili, di grandi sacrifici e di grandi rinunce ma non ho mai avuto esitazione o pentimento per la strada intrapresa. Anche se ci sono stati momenti bui e dolorosi”. Lo sguardo della pm Siravo si intristisce quando le chiediamo quali siano state le indagini, come donna, che più l’hanno addolorata.

“Ricordo in particolare una storia di violenza fra le mura domestiche, dove la vittima era una ragazzina. Ricordo il dolore nel suo racconto e la paura di non essere creduta. Perché le violenze arrivavano dal padre. Abbiamo avviato un’attività investigativa discreta, silente fatta di intercettazioni ambientali e telecamere. Dinanzi a una amara verità la madre finalmente ha creduto alle parole della figlia e l’uomo è stato condannato al massimo della pena prevista per quel tipo di reato. E il ringraziamento da entrambe è stato la mia più grande soddisfazione“.

Inevitabile a questo punto un passaggio su uno degli omicidi più efferati avvenuti nel frusinate negli ultimi anni, quello della professoressa Gilberta Palleschi trovata senza vita in un bosco di Campoli Appennino dopo una sparizione durata 40 giorni. “È triste dover pensare che il nostro lavoro, parlo dei magistrati, arrivi solo quando ormai è oramai accaduto l’irreparabile. La morte di Gilberta poteva essere evitata se ci fosse stata rete, unione fra enti. Perché Antonio Palleschi si era già macchiato di un tentativo di stupro e per quel reato era stato condannato e aveva trascorso un periodo in carcere. Una volta rimesso il libertà tutti gli enti preposti avrebbero dovuto sorvegliare sul suo percorso di recupero. Qualcosa non ha funzionato ed è accaduto l’irreparabile. Per questo è necessario cambiare la mentalità quando si affrontano delle determinate tematiche. Centri di violenza, comuni, enti dovrebbero interagire quotidianamente con la magistratura anche solo per segnalare un fatto banale per perché dai piccoli episodi, spesso sottovalutati, scaturiscono dei grandi tragedie".

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