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Roma, le tensioni con Bruxelles nascono dal fantasma del pareggio di bilancio

La settimana scorsa abbiamo assistito all’inedita "querelle" tra il Presidente della Commissione Europea ed il nostro Presidente del Consiglio: Junker,  infatti, dimostrandosi sorpreso per gli attacchi  del nostro Premier alla Commissione Europea ...

La settimana scorsa abbiamo assistito all’inedita "querelle" tra il Presidente della Commissione Europea ed il nostro Presidente del Consiglio: Junker, infatti, dimostrandosi sorpreso per gli attacchi del nostro Premier alla Commissione Europea ha dichiarato: «Rispetto molto il Premier italiano Renzi, gli voglio bene ma ha torto nell’offendere la Commissione. Abbiamo dato grande flessibilità sui conti pubblici ma sono rimasto molto sorpreso quando Renzi ha detto che era stato lui a introdurre la flessibilità”. In realtà “ero stato io”, ha puntualizzato Junker. Ma la tensione tra Roma e Bruxelles ha toccato l’apice allorquando il nostro Premier Matteo Renzi ha replicato con durezza dichiarando che: «Non ci facciamo intimidire. L’Italia merita rispetto». Lo scontro tra il Premier Matteo Renzi ed il presidente dell’Esecutivo Comunitario Jean Claude Juncker, che vede al centro la “flessibilità sui conti pubblici”, è poi proseguito a Caserta durante la cerimonia per il passaggio ufficiale della Reggia Vanvitelliana dall’Aeronautica alla gestione museale: “Noi che rispettiamo i regolamenti Ue e stiamo mettendo il nostro onore perché si possano ridurre le procedure di infrazione diciamo con franchezza che l’Europa è un fatto di identità, cultura e bellezza, non un’accozzaglia di regolamenti. L’Italia deve farsi sentire con determinazione, con gentilezza e garbo ma chiarendo che è finita, sia la stagione in cui qualcuno poteva immaginare di telecomandarla, quanto il tempo in cui l’Italia andava a Bruxelles con il cappello in mano”. E’ lecito domandarsi il perché tanta acredine tra Roma e Bruxelles: cosa si nasconde dietro queste improvvise tensioni ? Eppure il Presidente del Consiglio si dice convinto che «non ci saranno ripercussioni sui conti pubblici del nostro Paese”. In Italia, prosegue, “le cose vanno meglio dal punto di vista del lavoro e dell’occupazione e dal punto di vista del debito che finalmente inizia a scendere. La battaglia sull’austerità alla fine la vinciamo». Tuttavia, perché il nostro Governo, pur avendo richiesto una flessibilità dello 0,8% di PIL, inferiore a quella dell’1% imposta dalla Commissione, potrebbe non essere in grado di superare l'esame di Bruxelles sulla Legge di Stabilità varata a fine anno ? Analizziamo dunque alcune verità nascoste che, a nostro avviso, sono in grado di spiegare, almeno sotto il profilo economico, i mal di pancia di questi ultimi giorni, alla luce delle cogenti polemiche sul deficit eccessivo. Senza correttivi, infatti, sembrano esserci le condizioni per aprire sull’Italia una procedura vincolante, anche se il deficit resta sotto al 3% del reddito nazionale (Pil). Nel gergo europeo, si chiama procedura per «scostamenti significativi» dagli impegni. Riguarda il «braccio preventivo» del patto di Stabilità, non quello «correttivo» previsto quando il disavanzo è già oltre le soglie, ed ha una caratteristica importante: può portare a vere e proprie multe, se dopo tre anni il Paese coinvolto non corregge la rotta. Inoltre, c’è da rilevare come il “Fiscal Compact”, ossia il Patto di Bilancio Europeo, abbia imposto, quale prima regola, il “pareggio del bilancio”, che l’Italia ha inserito nella Costituzione nell’aprile del 2012 con una modifica all’articolo 81. Ma anche l’applicazione di una norma di rango costituzionale (il massimo livello del nostro ordinamento giuridico !) trova forti difficoltà di applicazione visto che anno dopo anno si continua a rinviare l’entrata in vigore del pareggio di bilancio, dal 2015 al 2016 e adesso al 2017. L’Unione Europea, già lo scorso anno, aveva comunque storto il naso obbligando l’Italia ad introdurre nella Legge di Stabilità 2015 le c.d. “clausole di salvaguardia”: una specie di ciambella di salvataggio imposta da Bruxelles per blindare gli impegni di Bilancio presi dell’Italia ed arrivare famigerato “Pareggio di Bilancio” entro il 2017. Se i conti italiani, infatti, non avessero raggiunto gli obiettivi prefissati sarebbe scattata la clausola di salvaguardia con l’aumento automatico dell’IVA, che sarebbe passata dal 22% al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e al 25,5% nel 2018. Ma qui arriva il colpo di scena, perché nella Legge di Stabilità per il corrente anno sono stati eliminati proprio quegli aumenti di imposta e riduzione delle agevolazioni fiscali, vale a dire le predette clausole di salvaguardia, che dovevano scattare dal 2016. Tuttavia il blocco dell’innalzamento dell’ aliquota ordinaria IVA al 24 % per il 2016 è solo temporaneo, poiché a partire dal 1° gennaio 2017 scatterà l’aumento dell’IVA ordinaria che passerà, con un sol colpo, dal 22% al 25% e dal 2018 si attesterà al 25,50% , mentre l’aliquota dell’ IVA speciale salirà direttamente al 13%! Occorre poi precisare che, qualora si fossero raggiunti gli obiettivi di bilancio previsti nella Legge di Stabilità 2015, il Governo avrebbe eliminato i predetti aumenti dell’Iva. La promessa purtroppo non è stata mantenuta in quanto legata al conseguimento dei risultati scaturenti dalla spending review, che però purtroppo non si sono mai realizzati ! Nell’odierna Legge di Stabilità per il 2016, la disattivazione dell’incremento delle aliquote IVA, dovrebbe coincidere con il raggiungimento degli obiettivi fissati tramite la cosiddetta Voluntary Disclosure, ossia il rientro dei capitali illegalmente detenuti all’estero. Tuttavia, la Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti ha recentemente dichiarato che il costo complessivo dell’adesione alla voluntary disclosure è estremamente variabile da caso a caso. I risultati che emergono da una simulazione effettuata su tre diverse ipotesi dalla predetta Fondazione fanno dire alla categoria che la legge sul rientro dei capitali, anche per la sua estrema complessità e nonostante il vantaggio derivante dall’abbattimento delle pene, rischia di non raggiungere gli auspicati obiettivi di gettito, tramutandosi in un ulteriore flop per le casse dello Stato. Proprio come sosteneva Carlo Marx quando affermava che “La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni”.

GIORGIO DE ROSSI

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