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Cronaca Arce

ESCLUSIVA - Omicidio Mollicone, 'il depistaggio investigativo ha avuto inizio nel giorno dei funerali della povera Serena'

Dichiarazioni choc dell'ex procuratore capo di Cassino, Gianfranco Izzo che, otto mesi dopo l'assassinio, fece trasferire il maresciallo Franco Mottola: c'erano sospetti ma nessuna prova certa

Un piano perfetto. Un depistaggio che avrebbe avuto inizio nel giorno dei funerali di Serena Mollicone e che avrebbe dovuto far accusare il padre della povera studentessa di Arce aggredita nella caserma dei Carabinieri e lasciata morire soffocata. Un depistaggio che, secondo le dichiarazioni choc dell'ex procuratore capo di Cassino, Gianfranco Izzo, sarebbero state attuate dal maresciallo Franco Mottola, oggi carabiniere in congendo e all'epoca comandante della stazione del paese.

Nessuna autorizzazione arrivata dalla Procura

"Mai e poi mai avrei autotizzato nessuno a far prelevare un padre piangente davanti al bara della figlia. Anche se fosse stato un sospettato. Perchè prima di essere un magistrato sono un padre e un uomo - spiega l'anziano magistrato, ex procuratore capo a Nocera Inferiore e primo togato della Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere -. Nei mesi successivi a quella infelice scena trasmessa da tutti i media nazionali (tutti credettero che Guglielmo Mollicone fosse in procinto di essere arrestato ndr), convocammo il maresciallo Franco Mottola, in qualità di comandante della stazione di Arce -. Il magistrato titolare del fascicolo chiese a Mottola da chi avesse ricevuto l'ordine di far prelevare Mollicone dalla chiesa. Lui rispose 'forse dal dottor Izzo ma non ricordo'. In quel momento ho capito che dietro quella vicenda c'era dell'altro. Per questo preparai una relazione di servizio nella quale ho smentito ogni atteggiamento compiuto da quell'uomo nel corso delle indagini. Solo otto mesi dopo l'omicidio sono riuscito a farlo trasferire. Perchè nel frattempo abbiamo scoperto che il figlio era indagato per spaccio di sostanza stupefacente".

L'arresto e la detenzione da innocente di Carmine Belli

Gianfranco Izzo parla poi di un'altra pagina nera di questa vicenda: l'arresto di Carmine Belli e la sua detenzione per diciotto mesi in cella di isolamento. "Belli con il suo atteggiamento contraddittorio ha contribuito ad alimentare i sospetti che poi si sono tramutati in accusa con il suo mancato alibi e con il ritrovamento del tagliandino del dentista che avrebbe dovuto appartenere a Serena. Ero certo però che sarebbe stato assolto perchè era un processo indiziario. Mi rammarica il fatto che all'epoca non avevamo gli strumenti che oggi hanno a disposizione i miei colleghi. Avremmo potuto risparmiare dolore e sofferenza a molti". Il dottor Izzo non aggiunge altro ma anche l'arresto di Belli viene letto come un 'depistaggio'. Perchè il carrozziere di Rocca d'Arce venne interrogato dal maresciallo Franco Mottola ben diciotto volte e senza un valido motivo. "Mi hanno ascoltato per ore ed ore e talmente tante volte che ad un certo punto non sapevo neanche più quello che dicevo - disse Belli durante il processo nel quale, con le lacrime agli occhi, ripeteva di essere innocente -. Mi mostravano foto e mi pressavano ed io cadevo sempre più in confusione". un pressing investigativo quello a cui è stato sottoposto Carmine Belli che ha fatto gioco a chi, realmente, era coinvolto nell'assassinio di Serena.

L'incontro con Tuzi e il mancato confronto con Mottola

"Il dramma processuale ed umano si realizza però allorquando le "tradizionali procedure investigative" vengono ostacolate o addirittura depistate. Questo è purtroppo il caso dell'atroce omicidio di Serena Mollicone". E i tanti depistaggi avrebbe continuato a seminare dolore se non fosse accaduto che, un giorno, chi era a conoscenza della veritò, ha deciso di parlare. Gianfranco Izzo ricorda con sofferenza le parole scambiate con il brigadiere Santino Tuzi morto suicida nel 2008 e due giorni dopo aver riferito alla Procura di Cassino che Serena Mollicone il primo giugno del 2001 era entrata in caserma e non l'aveva più vista uscire. "L'impressione che mi fece, da un punto di vista umano, la tardiva "confessione" del brigadiere Tuzi (che non era indagato ndr) è stata quella di un uomo intimorito e preoccupato, anzi spaventato, come se fosse, appunto, un "reo confesso". Decisi senza indugio di non redarguirlo, di non intimorirlo più di quanto già non fosse, anzi lo rassicurai sul suo immediato futuro. Ero sbigottito ed ovviamente contrariato, ma compresi che era necessario evitargli ogni preoccupazione di successivi provvedimenti punitivi, che egli visibilmente mostrava di temere; provvedimenti che non avrebbero certamente giovato alle indagini, ai quali però egli non avrebbe potuto nel prosieguo sottrarsi se non ci avesse dichiarato, a tempo debito, per quale e vero motivo aveva taciuto per sette anni. Lo lasciai andare dopo una permanenza non troppo lunga negli uffici della Procura (temeva addirittura di essere arrestato). Anche questa mia decisione doveva servire a tenerlo tranquillo, per quanto possibile". 

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